Sanità: o più soldi o meno servizi?

I riflettori tornano ad accendersi sulla situazione in cui versa il Sistema sanitario nazionale, complice l'inchiesta sulla gestione della pandemia

Hanno fatto molto scalpore nei giorni scorsi la grande divergenza di visione tra la Procura di Bergamo e il Tribunale dei ministri a proposito dell’azione di contrasto alla pandemia da virus Sars-CoV-2 e le opposte prese di posizione dei moltissimi commentatori intervenuti, su tutti i tipi di media, vuoi a favore ovvero contro le determinazioni prese a Bergamo e a Roma.

Se riprendiamo l’argomento non è però per aggiungere ai tanti anche il nostro parere, ma per un aspetto secondario che ha accomunato buona parte delle diverse prese di posizione e che è in linea con il percorso che questi editoriali stanno disegnando. Non potendo citare tutti gli intervenuti e gli interventi prendiamo ad esempio quanto riportato dal Corriere della Sera (9.3.2023) a seguito di una intervista al professor Giuseppe Remuzzi (direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”), secondo il quale “negli ultimi trent’anni si è provato in tutti i modi a smantellare il Servizio sanitario nazionale”. Pur avendo, anche chi scrive, espresso da queste colonne tante critiche alla situazione del nostro Ssn (ultima quella di giovedì 2 marzo 2023), diciamo subito da una parte che non condividiamo la drasticità e perentorietà del giudizio di Remuzzi, ma dall’altra che il professore ha ragione nel richiamare l’attenzione non tanto sugli aspetti processuali in corso quanto sullo stato attuale del servizio sanitario.

In proposito, il dibattito nel nostro Paese sulla stampa di settore si sta concentrando sostanzialmente su due aspetti:

– il sottofinanziamento del Ssn: vero, in termini generali, e particolarmente aggravato dal peso delle risorse che si sono dovute mettere in campo per affrontare la pandemia da parte delle regioni e che al momento lo stato non ha ancora ripianato (ammesso che lo faccia, considerato che per ora la disponibilità economica non sembra esserci), risorse ulteriormente erose dalla crisi energetica;

– le difficoltà del personale sanitario (vere anche queste): in fuga da diverse aree (pronto soccorso in primis) dell’assistenza ospedaliera ma anche poco disponibile per lo sviluppo della assistenza territoriale previsto dalla realizzazione degli investimenti della Missione 6 del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma anche la perdita di appeal del servizio pubblico e la valorizzazione economica e retributiva dei professionisti;

aspetti che riconducono la discussione sostanzialmente a una richiesta di più soldi (risorse) da dedicare alla sanità, richiesta legittima, ma troppo facile da formulare senza indicare dove vanno reperite le risorse.

Se è tutto qui quello che tre anni di pandemia ci hanno insegnato risulta piuttosto difficile ipotizzare che si possano implementare iniziative e proposte che permettano di raggiungere gli obiettivi di universalità, equità e uguaglianza, che sono a fondamento dell’istituzione del Ssn.

In questo dibattito, che chi scrive ritiene del tutto parziale e insufficiente anche se affronta due problematiche sostanziali, si è recentemente inserito un documento prodotto dal Coordinamento della Commissione Salute delle regioni predisposto in preparazione ad un incontro con il ministro della Salute Orazio Schillaci e con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Anche questo documento si limita ad affrontare i due temi del finanziamento e del personale ma lo fa, per la prima volta, esplicitando le alternative che sono sul tavolo. Scrivono le regioni, attraverso un pensiero da tutte condiviso, dopo avere espresso la preoccupazione sul livello tendenziale di finanziamento verso cui sta andando il Ssn: “Se davvero il livello di finanziamento del SSN per i prossimi anni dovrà assestarsi al 6% del Pil, prospettiva che le regioni chiedono che venga assolutamente scongiurata, occorrerà allora adoperare un linguaggio di verità con i cittadini, affinché vengano ricalibrate al ribasso le loro aspettative nei confronti del SSN. Saranno necessarie scelte dolorose, ma non più procrastinabili, al fine di evitare che le mancate scelte producano nel sistema iniquità ancora più gravi di quelle già presenti”.

In poche parole le regioni dicono: il livello del finanziamento del SSN non è minimamente adeguato per consentire la sostenibilità della programmazione sanitaria, e quindi o lo Stato mette più soldi in sanità oppure saremo costrette a ridurre i servizi erogati. È un’alternativa molto forte, ed è la prima volta che le regioni la esplicitano mettendo nero su bianco che qualcuno (chi?) deve avere il coraggio di dirlo ai cittadini, cioè deve dichiarare che alcune delle prestazioni o dei servizi (quali?) che oggi sono ritenute essenziali (LEA) da domani non lo saranno più. In realtà, nei fatti (si veda la valutazione delle regioni attraverso la applicazione della cosiddetta “griglia LEA”) è già così (ne è un esempio l’intervento che abbiamo già citato in precedenza), e i cittadini se ne accorgono quando richiedono una prestazione e vengono loro proposti dei tempi di attesa inaccettabili costringendo i più deboli a posticipare le (o addirittura rinunciare alle) cure e stimolando quelli economicamente attrezzati ad intervenire di tasca propria (una torta che è stimata superiore ai 40 miliardi di euro), ma le regioni si rendono conto che servono scelte esplicite ancora più dolorose che possono produrre “nel sistema iniquità ancora più gravi di quelle già presenti”.

L’aut aut delle regioni può apparire eccessivo, ma ha il pregio di far capire in termini semplici, e quindi forzatamente rigidi e incompleti, lo stato di difficoltà in cui si trova quello che una certa retorica continua a considerare “il servizio sanitario più bello del mondo”, ma che per rimanere tale necessita da parte della politica di scelte decisive del tipo di quelle prefigurate nel documento delle regioni.

Come si è chiesto Sabino Cassese sul Corriere della Sera di sabato 11 marzo, sostenendo la tesi che gli interventi delle Procure non saranno risolutivi: “L’attenzione deve essere posta piuttosto sui rimedi o sulle sanzioni?”. Il documento delle regioni indica chiaramente la strada: al Governo il compito di fare i prossimi primi decisivi passi.

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