Il breve ma significativo accenno fatto nel suo discorso di fine anno dal presidente della Repubblica Mattarella alla sanità come “presidio insostituibile di unità del Paese”, ma anche le proposte sul tavolo attorno al tema dell’autonomia differenziata, stanno facendo registrare in questo periodo la presenza di diversi interventi su giornali quotidiani (a solo titolo di esempio: Garattini, Avvenire del 3 febbraio; Magatti, Corriere della Sera del 6 febbraio e Gabanelli-Ravizza sullo stesso giornale sempre il 6 febbraio) che partendo da punti di vista differenti e con argomenti più o meno specifici hanno messo la sanità al centro delle loro riflessioni, evidenziando vuoi i difetti da evitare e i problemi su cui intervenire oppure gli elementi positivi da rafforzare.
A offrire ulteriori materiali alla discussione si sono aggiunti anche alcuni contributi tecnici resi pubblici in questo periodo: dagli interventi della Corte dei Conti sulla spesa sanitaria, alla relazione del ministero della Salute al Parlamento, ai recenti risultati relativi al monitoraggio della erogazione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) fatta dal ministero della Salute, al recentissimo rapporto di Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) sui tempi di attesa nell’erogazione delle prestazioni ambulatoriali.
Questi differenti contributi, insieme ai tanti che sarebbe difficile nominare senza fare torti a qualcuno e che appaiono in continuazione sulla stampa di settore, ci offrono l’opportunità per sviluppare una breve riflessione attorno ai principi fondamentali su cui è stato costruito il Servizio sanitario nazionale (Ssn), e cioè i principi di universalità, equità ed uguaglianza.
A proposito di universalità, che il sistema di sicurezza sociale costituito dal Ssn traduce con l’idea che ci sia una organizzazione capillare sul territorio nazionale tale per cui le prestazioni sanitarie, e nello specifico i Lea, debbano essere erogate a tutta la popolazione, il recentissimo rapporto di monitoraggio del ministero della Salute sui dati dell’anno 2020 (anno pandemico e ultimo disponibile) ci consegna alcune, purtroppo sconsolanti, criticità: “Nell’area ospedaliera, la dinamica dei punteggi rilevati per diversi indicatori di appropriatezza, è alterata a causa della notevole diminuzione dei ricoveri. Nell’area prevenzione, i punteggi di quattro indicatori su sei complessivi hanno subito un peggioramento marcato (Screening, Vaccinazioni, Copertura delle attività di controllo su animali) rispetto all’anno 2019. L’area distrettuale registra diverse variazioni anomale rispetto all’anno precedente (aumento tempi registrati nell’Emur, riduzione consumo di antibiotici, riduzione re-ricoveri e ricoveri inappropriati)”. Complessivamente, 11 Regioni (o Province Autonome) nell’anno 2020 hanno superato la soglia di sufficienza in tutte le tre macro-aree; 4 regioni sono risultate insufficienti in una sola macro-area (Liguria, Abruzzo, Molise e Sicilia); 5 sono risultate insufficienti in due macro-aree (Campania, Basilicata, Valle d’Aosta, P.A. di Bolzano e Sardegna); ed 1 regione è risultata insufficiente in tutte e tre le macro-aree (Calabria). Inoltre, tutte le regioni a esclusione di Valle d’Aosta e P.A. di Trento hanno peggiorato nel 2020 le proprie performance.
Non è un buon segnale quello che viene dal monitoraggio Lea, anche se viene facile rifugiarsi dietro l’idea che le criticità rilevate dal sistema siano ritenute attribuibili all’evento pandemico: in realtà la pandemia sicuramente conta, ma poiché le criticità nella erogazione dei Lea non sono tipiche del solo anno 2020 ma vengono da lontano, significa che è il Ssn nel suo complesso che presenta diverse falle che non lo rendono capace di soddisfare il criterio della universalità, proclamato come principio ma poi non realizzato nella pratica di tutti i giorni.
E se gli indicatori considerati nel monitoraggio Lea non fossero ritenuti adeguati per valutare quanto sia applicato il principio di universalità, l’articolo di Garattini elenca, a titolo di esempio, diversi altri elementi che rappresentano un indizio di criticità: alcune difficoltà di accesso alla medicina di base con il conseguente intasamento dei Pronto soccorso, gli ammalati delle oltre 7mila malattie rare, gli ammalati di malattie neurodegenerative, gli ammalati mentali, le poche risorse dedicate alle cure palliative, e via elencando.
Passiamo a equità e uguaglianza, cioè all’idea che i cittadini, a parità di bisogno, devono poter accedere alle prestazioni del Ssn senza alcuna distinzione di condizioni individuali, sociali ed economiche. Qui gli aspetti da segnalare sono molti: dalle maggiori difficoltà all’accesso ai servizi per diverse categorie di persone fragili, ai peggiori esiti delle cure per i soggetti economicamente e socialmente più deprivati, dalla rinuncia alle cure stesse per motivi economici al ricorso al privato a pagamento per chi ne ha le possibilità, e così via. Sul punto il tema più difficile da affrontare ma anche quello che crea la maggiore problematicità ai cittadini è certamente legato alle liste di attesa, che dentro il Ssn risultano straordinariamente lunghe per una rilevante quota di pazienti che hanno il bisogno di qualche prestazione, con la conseguenza che “la fascia di popolazione più benestante, attraverso la cosiddetta ‘intramoenia’ o la sanità privata riesce a ottenere i servizi e le prestazioni di cui abbisogna in tempi rapidi o comunque ragionevoli”, mentre ai soggetti economicamente e socialmente più deboli rimane solo l’alternativa di aspettare o rinunciare. Come efficacemente espresso da Garattini (ma anche da Gabanelli-Ravizza): “Se puoi pagare, hai accesso a medici, strutture e attrezzature, mentre se non puoi pagare aspetti.
Il recente rapporto di Agenas sulle prestazioni erogate in “intramoenia”, cioè le prestazioni erogate dai professionisti all’interno delle strutture pubbliche, ma che sono a totale pagamento da parte del cittadino, evidenzia tre chiare tendenze: da una parte il ricorso a queste prestazioni è in continuo aumento, dall’altra i tempi di attesa per queste prestazioni sono decisamente inferiori rispetto ai tempi di attesa delle stesse prestazioni se richieste dentro il Ssn; dall’altra ancora, per alcune prestazioni e per diverse strutture pubbliche di erogazione la quota di prestazioni erogabili in “intramoenia” rispetto a quelle cosiddette “istituzionali” (erogate entro il Ssn) non rispetta il tetto (1:1) stabilito per legge e va decisamente oltre.
Non è questo il luogo per proporre eventuali soluzioni, né sul tema della universalità né su quello dell’equità e uguaglianza, perché richiederebbe uno spazio che non abbiamo. Sapere però, seppure solo attraverso situazioni esemplificative, che i principi fondamentali che costituiscono il Ssn siano così disattesi non ci può lasciare tranquilli e tantomeno solo lamentosi o inerti. Visto che da poco si è insediata una nuova maggioranza a livello nazionale con un nuovo ministro, e visto anche che due tra le più importanti regioni del nostro Paese hanno eletto i nuovi organi di governo regionali (dove la sanità sappiamo valere per circa il 80% delle risorse da essi gestite), chiediamo che la politica si impegni esplicitamente per fare in modo che la affermazione astratta dei principi di universalità, equità e uguaglianza, non rappresenti solo un enunciato di teoria, ma si realizzi quanto più possibile nella pratica quotidiana del Ssn.
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