Il salario minimo è diventato tema d’attualità in Italia in coincidenza con l’avvento di una nuova leadership nel Pd. È uno degli “attrezzi” politici subito impugnati dalla neo-segretaria Elly Schlein dalla cassetta di capo dell’opposizione parlamentare. Scelta in sé non contestabile: più prioritaria – da parte di una sorta di “Premier-ombra” – rispetto ai cosiddetti “diritti civili” sullo sfondo delle vere emergenze del Paese. La risposta della Premier Giorgia Meloni è giunta a stretto giro: il salario minimo non è la soluzione per l’Azienda-Italia di oggi, meglio puntare sull’alleggerimento fiscale dei redditi dei lavoratori.

Nel resto del mondo (occidentale) la questione salariale è bollente su un piano solo in parte sovrapponibile alla querelle sul “minimo”: quello dell’impoverimento delle retribuzioni provocato dal rigurgito inflazionistico, da guerre del gas e prima ancora da postumi della pandemia. Nemmeno il Presidente Usa Joe Biden è riuscito finora ad andare oltre il perimetro dei dipendenti federali nel raddoppio del salario minimo da 7,25 a 15 dollari: cavallo di battaglia della sua campagna elettorale contro Donald Trump.  Due anni dopo la Casa Bianca sta invece lottando per condurre in porto un “Inflation Reduction Act”, in realtà non imperniato sull’incremento dei salari, quanto su investimenti nella transizione energetica (quindi: su tecnologie meno costose e maggiore occupazione di qualità). Nel frattempo Oltre Atlantico i salari stanno gradualmente salendo – mentre la fiammata inflazionistica sta in parte rientrando – per ragioni intrinseche al mercato: la domanda di lavoro qualificato – anzitutto nei comparti privati – sta premendo sull’offerta principalmente in seguito ai vuoti lasciati dai due anni di Covid.

In Germania il salario minimo – introdotto nel 2015 con “scala mobile” – è stato portato a 12 euro l’ora lo scorso ottobre. Ma ha fatto molto più notizia, pochi giorni fa, che 160mila dipendenti della Deutsche Post abbiano ottenuto un aumento retributivo medio dell’11,5% (con massimi del 20% nelle fasce più basse) con l’aggiunta di un premio una tantum. Il pacchetto è stato  concesso dal Governo Scholz, pilotato da socialdemocratici e Verdi (anche se alle finanze c’è un liberale rigorista): non prima, tuttavia, che i postini tedeschi siano scesi in sciopero. Gli aumenti recuperano per intero, al momento, l’inflazione del 9,3% accumulata in Germania nei primi 12 mesi di guerra russo-ucraina: quando comunque il Governo ha dispiegato massicci aiuti per attutire il caro-energia alle famiglie.

Quello del maggior Paese Ue non è un caso isolato. Il primo – quello norvegese – è stato forse il più singolare, fra pubblico e privato. Già a metà 2022 sono entrati in agitazione i lavoratori delle piattaforme di estrazione di petrolio e gas nel mare del Nord. È il business (controllato dallo Stato) nel quale Oslo è fra i leader globali e sui quali, in seguito alla crisi geopolitica, il Paese scandinavo (non-Ue) ha realizzato enormi sovraprofitti. L’inflazione, tuttavia, ha da subito colpito anche la Norvegia: dove il salario minimo legale non esiste (c’è invece una robustissima sicurezza sociale, finanziata principalmente dall’export energetico). Il Governo – socialdemocratico –  ha dovuto immediatamente concedere ai suoi dipendenti “oil & gas” miglioramenti anti-carovita per prevenire ondate di scioperi. Lo scontro non è chiuso: è ripreso all’inizio del 2023 sotto forma di rivendicazioni di salari “giusti” in quanto rapportati all’eccezionale redditività delle società che gestiscono tutte le attività energetiche.

Nel frattempo gli echi delle proteste rivendicative in Gran Bretagna (ormai fuori dall’Ue) sono rimasti negli ultimi giorni tanto vivaci quanto quelli provenienti dalla Francia per la riforma previdenziale. Oltre Manica (dove il salario minimo per chi ha oltre 23 anni è fissato a 10,23 sterline, 11,6 euro) sono in agitazione da settimane tutti i dipendenti del servizio sanitario nazionale, seguiti da insegnanti e addetti al trasporto pubblico. Al centro del confronto un’inflazione che ha toccato lo scorso ottobre il picco quarantennale dell’11,1%.  A Londra il Governo conservatore ha resistito a lungo: a differenza di quello scozzese, fortemente autonomo e di orientamento socialdemocratico, che è sceso a patti con le union degli insegnanti. Una proposta di tregua avanzata nelle ultime ore dal Premier Rishi Sunak per Inghilterra e Galles prevede un recupero parziale dell’aumento del costo della vita per medici e paramedici: ma è ancora tutt’altro che sicuro che riesca a svuotare le piazze e a normalizzare gli ospedali.

Mentre l’Ue ha appena adottato una Direttiva sul salario minimo, la questione retributiva in Italia rimane dunque sospesa fra il pressing dell’opposizione per una misura che resta per sua natura statalista  (e di aroma ideologico) e un’azione di governo di centrodestra liberale più a contatto con la complessa realtà dei mercati; ma ancora lontana dall’aver costruire con le parti sociali risposte politico-economiche concrete all’erosione inflattiva delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, dopo anni di stagnazione.

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