Il mondo appare sempre più ingiusto. La benzina sul fuoco di conflitti politici, sociali, personali pare non esaurirsi mai. Guerre, povertà, disuguaglianza, ma anche tanta rabbia e incapacità di compassione sembrano inarrestabili.
Ingiusta è la situazione dei Neet, ingiusta è la crescente distanza tra ricchi e poveri, ingiusta è la difficoltà sempre più drammatica delle famiglie e degli anziani ad arrivare a fine mese, ingiusta è la quantità di denari fermi nei fondi e non utilizzati per creare imprese e lavoro.
È inutile illudersi: il moltiplicarsi di leggi e regole non aiuta, anzi, l’esperienza ci dimostra il contrario.
Per capire che cosa sia “giusto”, prima che guardare ai numeri, sarebbe meglio osservare i fatti. Come quelli che succedono in luoghi nascosti alla vita dei più, o nella semplice quotidianità delle persone che coltivano nel loro intimo una speranza e la mostrano sui loro volti o nei loro gesti.
“Voglio essere pulita, perché quando suor Elvira mi dà un bacio, io voglio essere profumata”: questa la richiesta di una bambina alla sua mamma, prima di recarsi al centro educativo San Camillo, gestito dalle Suore di carità dell’Assunzione, in un quartiere povero di Napoli.
Sorprende che queste suore non si diano una missione “assistenziale”, non strutturino grandi progetti con obiettivi e resoconti da fare, ma condividano semplicemente, per ciò che è nelle loro forze, il bisogno delle famiglie che vivono situazioni di fragilità, malattia e problemi di diverso tipo. Per quale ragione? “Perché facciamo quello che possiamo. Ma è questa semplice, quotidiana e personale vicinanza a creare nel tempo processi di cambiamento nelle persone”.
Quella bambina, che arrivava sempre mal vestita e trascurata, a un certo punto, ha cominciato a presentarsi in ordine. Perché era stata accolta, attesa, guardata come qualcuno di prezioso. Per la stessa ragione, alcune famiglie si sono fatte aiutare nel cercare un alloggio più funzionale, e tanti hanno cominciato ad attivarsi per cercare lavoro. Perché sanno che c’è qualcuno disponibile a sostenere il loro tentativo. Si sono create anche situazioni di mutuo aiuto tra le famiglie che si conoscono attraverso i gesti rivolti a loro e al territorio. Prima della pandemia avevano attivato un laboratorio “Mamme all’opera”: ogni due settimane si ritrovavano per costruire oggetti e poi venderli. Con il ricavato hanno fatto la spesa per alcune famiglie durante il Covid. Tante mamme si sono coinvolte in gesti di solidarietà come la Giornata della colletta alimentare e nella raccolta dei viveri e medicinali per i popoli in guerra.
Questi fatti dicono che cosa sia giustizia sociale: quello che fa riprendere fiducia, spinge a fare un passo verso un bene comune, fa rialzare la testa, fa percepire che si può avere una vita da impegnare e qualcosa da costruire. “Nessuno sarà lasciato indietro” è oggi uno slogan usato dalla politica. Tantissimi in Italia realizzano questo intento perché nessuno venga dimenticato.
Lo chiamiamo Terzo settore, perché ci siamo abituati a guardare le cose con distacco, dall’alto. Ma è la prima realtà con cui si viene in contatto, prima di Stato e mercato. La comunità è la realtà più prossima, quella delle facce concrete che più spesso di quello che sembra sono disponibili a tendere una mano. Realtà abitate da persone come suor Elvira, impegnate nelle cooperative, nelle imprese sociali, nell’aiuto allo studio per combattere il fenomeno della dispersione scolastica, nell’assistenza ai più fragili, agli anziani, alle famiglie, ai disoccupati, ai senza casa.
Persone che mettono in comune il valore della solidarietà e della sussidiarietà. Persone che si muovono non per imposizione di un dovere, ma per libera e spontanea decisione: esserci per sé e per gli altri.
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