C’è una storia che in questi giorni fa capolino sui siti di informazione e che offre una chiave di lettura potente su alcune delle dinamiche che attraversano questo scorcio di secolo. La storia racconta di una coppia italiana che vuole un figlio, decide di adottarlo all’estero, parte e va in Brasile. Il bambino dunque arriva, il tribunale di San Paolo emette sentenza di adozione, e tutti e tre tornano in Italia. Poi, quattro giorni dopo, il colpo di scena: con motivazioni che andrebbero ulteriormente approfondite, la coppia bussa alla porta del sindaco e dice di non volere più quel bambino. Di fatto, dice il giudice del tribunale, che ha emesso sentenza di condanna nei confronti della coppia, lo abbandona di nuovo.
Di questa vicenda ciò che è interessante non è il dopo, anche se drammatico, e nemmeno le generalità dei protagonisti dell’accaduto: ciò che qui conta è il desiderio che ha mosso quella coppia e che, nel giro di qualche giorno, è naufragato di fronte ad una qualche realtà apparentemente insormontabile. In un tempo in cui i desideri diventano facilmente diritti, imparare a desiderare è tremendamente urgente.
È come se in ogni desiderio ci fossero tre componenti tutt’altro che facili da individuare: anzitutto c’è sempre una realtà che ha fatto sorgere quel desiderio. Ciascuno di noi, parafrasando il Tommaso del “Nihil volitum nisi praecognitum”, desidera sempre qualcosa che ha già visto, con cui è già venuto in contatto. Questo accade perché nessuno di noi sa di che cosa ha bisogno finché non lo vede. Di conseguenza desiderare significa andare un po’ per tentativi, di luce in luce, alla ricerca di quella luce che può davvero scaldare il cuore.
È per questo che i desideri, almeno come posizione iniziale, non vanno mai presi troppo alla lettera, perché sono tutti tentativi del cuore, dell’Io, di cercare quello che realmente s’attaglia al suo desiderio più grande. Questa cosa la si vede spessissimo nei bambini: capita non poche volte di assistere a scene in cui i genitori chiedono ai figli che cosa desiderano per cenare o per vestirsi. In molti di questi casi, pochi istanti dopo, il bambino non vuole più il cibo o il vestito che ha scelto. Semplicemente perché il bambino non sa desiderare, non è capace di comprendere che quello che desidera è quantomeno sempre provvisorio. Crescere un bambino in quel modo significa addossargli la consapevolezza che ogni impulso sia un desiderio da soddisfare, condannandolo – inevitabilmente – alla frustrazione dell’infelicità.
La seconda componente del desiderio, quindi, è il tempo: non c’è desiderio senza tempo, senza quello stare nella realtà che fa vero – verifica – l’iniziale impeto. Non è cercando di esaudire il desiderio che il desiderio si realizza, ma lasciandolo maturare. Se uno abita seriamente il proprio posto nel mondo, lavorando, vivendo con serietà quel che alla mattina lo aspetta, accettando gli inevitabili sacrifici che la realtà richiede, allora – come un bel giorno – la verità arriva, irrompe, e chiarifica il desiderio. Ma questo tempo, questa attesa, non è una ricetta magica, un argomento da maestri dello spirito, bensì l’esigenza che nasce dalla consapevolezza del fatto che – affinché il desiderio cresca e maturi – anch’io devo crescere e maturare.
Il desiderio, infatti, fa crescere anche me che desidero, al punto tale che la sua vera forza coincide con la capacità di cambiarmi. Nel tempo il desiderio si mostra nella sua verità e io divento un po’ più capace di viverlo: il fidanzamento nella vita della Chiesa è stato pensato per questo, allo stesso modo che i seminari o i noviziati. Altrimenti, se il desiderio è subito esaudito e io non sono cambiato, non ho fatto una strada, è chiaro che la fedeltà a quel dono non dura, non regge.
Dunque, la terza componente del desiderio è che esso è dato. I cristiani vivono la realtà come una placenta che li alimenta e li genera, perché per i cristiani la storia è il grembo di Dio: ed è proprio il Mistero a porre nel cuore un desiderio perché l’uomo, verificandolo e crescendo, possa essere generato ad una vita nuova. Il desiderio è sempre per il cambiamento, per la conversione, per un nuovo inizio. Non è mai per realizzare sé stessi, per compiacersi, per sistemare proprie voglie, ma sempre per una nascita, per venire alla luce.
C’è una promessa in fondo ad ogni desiderio che va costantemente cercata e riscoperta, la promessa di un volto e di un bene che il cuore attende e che trova eco in ogni cosa che desideriamo. O il desiderio è l’inizio di questo cammino di scoperta, di questa avventura di conoscenza che Dio ci ha messo in cuore per arrivare fino a Lui, oppure la cosa più terribile sarà proprio la realizzazione di quello che desideriamo. Come è successo a quella coppia che è andata fino in Brasile a prendere il figlio che voleva: hanno avuto tutto, ma non era quello il punto. E quando l’hanno scoperto è stato troppo tardi. Si erano persi la strada, si erano persi il lavoro, si erano persi la scoperta di una chiamata dentro quella mossa, dentro quell’impeto di amore e volontà. E quando ci perdiamo tutto questo ci resta solo un’incredibile solitudine, il senso di una vera sconfitta.
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