Quest’anno non si sarebbe dovuta festeggiare Pasqua. Quasi 200.000 morti sul suolo ucraino in poco più di dodici mesi. Nella guerra di sempre torna a scatenarsi la violenza. Israele deve attaccare i palestinesi. Hamas deve attaccare Israele. La Cina inizia le manovre militari intorno a Taiwan.
Quest’anno non si sarebbe dovuta festeggiare la Pasqua. Semmai se ne sarebbe potuta festeggiare una molto spirituale che avrebbe potuto fungere da conforto o distrazione. Una distrazione come il pranzo del custode del cimitero di Montparnasse nella poesia di Raymond Carver. Quando gli viene chiesto dove vuole essere sepolto, «ci saluta e se ne va. Diretto al tavolo d’un caffè all’aperto. […] È ovvio che stava pensando ad altro. […] A qualcosa da mangiare e un bicchiere di vino».
Ci sono la Pasqua e le preghiere che sono come il caffè di Montparnasse. Aiutano a pensare ad altre cose, forse le più sante, aiutano a pensare alla vita eterna. Tutto questo senza che cambi nulla. Dopo esserci scambiati gli auguri l’un l’altro torniamo nelle «piccole stanze di terra, dove la luce fa fatica a penetrare. Stanze in cui le persone urlano e si feriscono a vicenda. E dopo sento dolore e solitudine. Incertezza. Il bisogno di conforto».
Un’altra Pasqua per continuare a vivere come se vita e morte fossero due facce della stessa medaglia. Fronte e retro come si legge nelle poesie di Carver. Come se il mistero della vita, nella migliore delle ipotesi, fosse «pioggia. Risate. Storia. Arte. Il potere della morte». Come se fosse un giro in gondola per Venezia, ascoltando «il respiro del gondoliere che va e viene dietro il mio orecchio. Il remo che gocciola. Chi mi biasimerebbe se cominciassi a pensare alla morte? Una persiana aperta sopra le nostre teste. Un po’ di luce filtrava prima che l’otturatore si richiudesse ancora. Questo è quello che c’è e una rosa nella tua mano». Un momento effimero di luce passeggera.
«E tutti noi, tutti noi, tutti noi stiamo cercando di salvare le nostre anime immortali». Questa Pasqua – l’altra arriverà – non riguarda la morte o l’immortalità, riguarda il tempo e l’eternità, riguarda il presente e la vita. Questa Pasqua parla di donne che diventano testimoni, di ebrei che smettono di festeggiare il sabato, di pescatori senza paura che parlano a tutta la città come se avessero studiato, di persecutori che vengono perseguitati, di persone che perdonano (il perdono è uno stile di vita impossibile), di persone in cui, incomprensibilmente, il male non rimbalza ma viene assorbito, di un modo di guardare il mondo in cui le cose sono cose e di più, sono cose e mistero, di un modo di soffrire che non è necessariamente senza speranza, di un modo di essere soddisfatti e inquieti che non ha bisogno del potere, ecclesiastico o civile, di una strana energia per ricominciare da capo quando non ce ne sarebbe alcuna possibilità, di un modo di amare e rispettare la libertà di chiunque, i tempi di chiunque, che non si trova da nessuna parte, di un modo di crescere, di prendersi cura dei malati, di una modalità di gioia, di carità, di certezza sul fatto che il futuro sarà migliore, di essere un capo senza tiranneggiare, di essere subordinato, un modo che lascia il segno, di cui non puoi liberartene.
Questa Pasqua sì che merita di essere festeggiata.
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