La Spagna ribolle alla vigilia di un lungo periodo elettorale. Non c’è un attimo di tregua. Sánchez, il Premier socialista, può governare di nuovo con il sostegno del nazionalismo/indipendentismo e della sinistra più a sinistra. Feijoó, il leader dell’opposizione, continua a consolidarsi nei sondaggi.
I partiti hanno urgenza di far prendere posizione ai cittadini. Viviamo in una politica geografica, di spazi. Dall’alto si vuole limitare la complessità dei problemi e della vita sociale. Si incoraggia una sorta di “razionalismo strategico”: all’elettore vengono chieste, nel migliore dei casi, poche idee chiare che limitino eventuali incognite che potrebbero sorgere. Gli si chiede di chiarire quale posizione difenderà dall’inizio alla fine. Nel migliore dei casi, poche idee dai confini molto netti. Nella maggior parte dei casi solo sentimenti. Ciascuno deve occupare la posizione assegnata a seconda del valore che sostiene: “Dobbiamo impedire a chi assolutizza il mercato di governare”, “dobbiamo impedire agli statalisti di avere il controllo”, “dobbiamo fermare i distruttori delle ultime evidenze “. Questo processo, con risultati altamente prevedibili, è altamente supervisionato.
La politica ridotta a posizioni (destra-destra, destra, sinistra, sinistra-sinistra) facilita uno stato di conflitto permanente. Nemmeno le istituzioni sono in grado di fermare questo stato perché sono state progressivamente colonizzate dai partiti. Questo “posizionismo” si fa in nome dei valori, ma alimenta e strumentalizza la dissoluzione dei legami sociali così tipica della nostra società digitale. In una società dinamica, con relazioni sociali ricche e complesse, non è né facile, né necessario posizionarsi a priori in una zona della mappa disegnata dall’alto. Se è la vita a determinare il rapporto con la cosa pubblica, tutto è molto più agile e i politici hanno molta più difficoltà a procurarsi clienti alzando certe bandiere.
L’origine dello stato di conflitto permanente ha molto a che fare con il fatto che abbiamo smesso di essere persone per diventare individui che difendono identità astratte. Pensiamo a noi stessi al di fuori dell’esperienza sociale e questa considerazione priva di carne è ciò che ci dice chi è il nostro rivale, chi è il nemico che impedisce ai nostri interessi, principi, emozioni e desideri di prosperare. Crediamo di difendere una vita e siamo al riparo dietro un cadavere. “Il nostro modo di stare nella città politica o habitus cittadino consiste nel saper sottomettere gli avversari. Questo è il nostro retroterra culturale che l’ideologia ha disegnato per più di un secolo”, ha denunciato Mikel Azurmendi.
Quando sarà il momento, bisognerà scegliere come votare. Ma senza fretta. Il risultato elettorale è importante, ma è altrettanto o ancor più importante cogliere l’occasione per compiere una riflessione critica su ciò che rende possibile vivere in uno stato che non sia di conflitto. Questa riflessione, che equivale a riconnettersi con il mondo della vita, che supera il voto indotto da quelli che i francesi chiamano i “chierici”, gli intellettuali, i leader politici o “parapolitici”, è forse più rilevante che mandare a casa un cattivo Governo.
Appena ci si riconnette al mondo della vita è facile riconoscere che il grande problema politico non è se la sinistra diluisce una tradizione occidentale già dissolta o se la destra ha o non ha, difende o non difende certi valori e libertà. La prima libertà è non doversi per forza trovare uno di fronte all’altro, non doversi situare in una certa posizione sulla mappa. La prima libertà, la prima necessità politica, è un mondo in cui si possa riconoscere il valore dell’altro.
Come sottolinea papa Francesco, è essenziale superare la dialettica degli opposti, seme della diffidenza e del confronto, così da avvicinarsi all’altro e alla realtà intera. Dal punto di vista cristiano, alimentare questa dialettica, senza indicare vie per superarla, è essere parte del problema e non della soluzione.
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