Noi e i fatti

La Settimana Santa è densa di fatti storici. Sono acclarati. Ma quegli eventi di un lontano passato sono continuati fino a noi e ancora accadono

Certamente la storia non se la passa tanto bene nelle nostre scuole. Marginalizzata nella prova scritta della maturità, rimodulata nei programmi in nome di una sacrosanta esigenza di maggiore conoscenza delle vicende contemporanee, è in difficoltà anche nelle università, dove continua una progressiva riduzione delle cattedre di discipline storiche. Oggi fa sorridere la ben nota locuzione ciceroniana “historia magistra vitae”. Un po’ perché i maestri non sono tanto di moda, ma soprattutto perché abbiamo lo sguardo così teso al nuovo, al futuro, alle infinite e affascinanti prospettive che le moderne tecnologie ci offrono, che abbiamo veramente poche energie da dedicare ai fatti del passato e alla loro conoscenza.

In effetti il presente è così ricco, intenso, drammatico, veloce nel suo continuo accadere, che dobbiamo avere delle buone e solide ragioni per interessarci alla storia e agli eventi che l’hanno costruita.

Forse ciò che dobbiamo riscoprire  è che si vive meglio e si capisce di più la realtà evitando la contrapposizione tra passato e presente.

Il grande storico del secolo scorso, francese di origine ebraica, Marc Bloch, nella sua Apologia della storia, così si esprime: “la solidarietà fra epoche diverse ha in sé tanta forza che le relazioni di intellegibilità tra di esse sono orientate nei due sensi. L’incomprensione del presente nasce fatalmente dall’ignoranza del passato. Forse però non è meno vano affaticarsi a comprendere il passato, ove nulla si sappia del presente”. E cita poi un altro maestro, Henry Pirenne, del quale riporta un’efficace affermazione: “se fossi un antiquario, non avrei occhi che per le cose vecchie. Ma sono uno storico. Ecco perché amo la vita”.

Un altro storico, l’inglese Edward Carr, sottolinea il rapporto inevitabile tra i fattori in gioco nello studio della storia, che sia il rapporto tra lo storico e i fatti storici o tra il passato e il presente. Così conclude la prima delle Sei lezioni sulla storia pubblicate nel 1961: “la storia è un continuo processo di interazione tra lo storico e i fatti storici, un dialogo senza fine tra il presente e il passato”.

È affascinante guardare la storia come un dialogo. Perché significa che passato e presente possono interagire, che il tempo che passa non cancella ma incrementa un rapporto possibile, e soprattutto che non tutto è già scritto, che c’è una partita di conoscenza reciproca ancora tutta da giocare. Ma è una partita interessante se si gioca su fatti e non sulle idee o ancor peggio, sulle ideologie. C’è un presente che scaturisce da questo dialogo, un presente sempre nuovo e sempre da scoprire.

È appena iniziata una settimana, quella che la Chiesa cattolica chiama Santa, traboccante di storia e di fatti. La storia di un uomo nato a Nazareth, in Palestina, che tutti conoscevano, che aveva fatto miracoli, ma che ora tanti cercavano di uccidere. Proprio all’inizio di questa settimana, domenica, entra a Gerusalemme accolto da una folla plaudente, cena con i suoi amici, a loro dice che dovranno continuare a spezzare e benedire il pane come lui sta facendo e dovranno farlo in memoria di lui. Poi uno dei suoi amici lo tradirà. Lo arresteranno, lo tortureranno. Lo inchioderanno a una croce, morirà, lo seppelliranno ma quando lo cercheranno nel sepolcro non lo troveranno più. Questi sono i fatti del passato che la storia ci restituisce, ormai peraltro così documentati dalla storiografia da essere veramente poco contestabili.

Ma questi fatti perché dovrebbero interessarci oggi? È vero, quell’uomo ha guarito tanti, ha cambiato la vita di chi lo ha incontrato, ha dato speranza a uomini e donne al punto che chi lo aveva seguito non ha potuto non dire “tu solo hai parole di vita eterna”, cioè parole che spiegano la vita. Ma oggi? Quale interesse hanno questi fatti per il nostro presente?

Don Giussani lo spiega così: “La dinamica dell’avvenimento cristiano è descrivibile sia partendo dal passato e venendo verso il presente, sia partendo dal presente e andando verso il passato”. Si tratta di “un avvenimento del passato rinvenibile nell’esperienza di un avvenimento presente. Di un avvenimento presente che si può spiegare solo in forza di un avvenimento del passato”.

Se oggi accade di incontrare uomini la cui vita è cambiata, che si ritrovano a fare memoria di quel pane spezzato e benedetto, che appartengono a una storia di cui possono dire “solo qui ci sono parole che spiegano la vita”, siamo di fronte a un fatto presente che si spiega solo in forza di quell’avvenimento passato. E quel passato continua a vivere anche oggi in un presente concreto e incontrabile nell’esperienza di uomini del nostro tempo. Fatti del passato che spiegano il presente. Un presente che è vero in forza di un passato.

Ma senza il gusto dei fatti, fatti del passato, fatti del presente, senza la lealtà di fronte ad essi, anche il cristianesimo finirebbe soffocato dall’ideologia o dai pregiudizi. Oppure ridotto a un vago sentimento soggettivo. Sulle ideologie si può discutere. I sentimenti sono fragili e passeggeri. La carne di persone vive e incontrabili è invece indiscutibile e certa. Di questo abbiamo bisogno perché la nostra vita sia “spiegata”.

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