Il desiderio più profondo del cuore

Oggi, ha detto mons. Pizzaballa, manchiamo di amore perché non sperimentiamo più il perdono. Serve un amore più grande cui attaccarci, un amore che ci ha amati per primo

“Una delle grandi povertà di oggi non è la mancanza di denaro e di successo, ma la mancanza di amore, dato e ricevuto. Non si ha nulla in cui credere, in cui sperare e per cui donare la vita, perché non si ha nulla che trabocca dal cuore. Non si ha fiducia nel prossimo, non si sa perdonare, perché non si è mai sperimentato il perdono”. Così affermava mons. Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, nella recente messa di Pasqua alla Basilica del Santo Sepolcro, davanti ad autorità civili, rappresentanze diplomatiche, vescovi e una grande moltitudine di fedeli.

È vero. Ci manca l’amore. Ne abbiamo terribilmente bisogno. Abbiamo bisogno che la vita, anche quando mostra il suo volto più duro, quello della malattia, della guerra, della sconfitta, della morte, possa incontrare qualcosa che corrisponde al desiderio più profondo del cuore, che è il desiderio di amore. E l’esperienza dell’amore ha qualcosa di paradossale, perché, come diceva don Giussani, “quando si vedono altri che stanno peggio di noi, ci sentiamo spinti ad aiutarli in qualcosa di nostro”, ma, al tempo stesso, “quanto più noi viviamo questa esigenza e questo dovere, tanto più noi realizziamo noi stessi”. Siamo fatti di amore, fatti per amare e per essere amati.

“Ogni volta con lo stesso gelo che portiamo appresso, rinchiusi nel nostro universo, facciamo i nostri conti, viviamo di stereotipi, e di giudizi comodi, e nei rapporti preferiamo al cuore il portafogli. A poco a poco diventiamo sempre meno umani”. Così il rapper Bassi Maestro grida il suo bisogno d’amore. “Ho bisogno d’amore, ti prego dammelo se ancora ce n’è. So che ogni giorno che passa ho sempre più bisogno d’amore”.

E Houellebecq, uno degli scrittori francesi contemporanei più noti e che più hanno fatto discutere, capace di muoversi con tragico disincanto nella brutalità umana del nostro tempo, non può evitare una sincera e umanissima confessione: “mi riesce penoso ammettere che ho provato sempre più spesso il desiderio di essere amato. Un minimo di riflessione mi convinceva ogni volta dell’assurdità di tale sogno. Ma la riflessione non poteva farci niente. Il desiderio persisteva e devo confessare che persiste tuttora”.

Eppure quella “mancanza di amore dato e ricevuto”, di cui parlava mons. Pizzaballa il giorno di Pasqua, ci appartiene, ci circonda, non possiamo non riconoscerla intorno a noi, ma anche dentro di noi. Tanti, troppi, sono i fatti che documentano quanto siamo fragili nella capacità di amare. Fragili quando si tratta di rischiare, cioè di abbracciare con amore la realtà buttandosi in essa. Fragili quando si tratta di accogliere chi ha bisogno. Fragili quando la diversità degli altri ci insospettisce e ci impedisce di riconoscere che il mondo è più grande delle nostre misure e delle nostre convinzioni. Fragili quando evitiamo di mettere al mondo figli, perché la paura prevale. Fragili quando non riusciamo a guardare l’avversario come un possibile alleato per costruire relazioni e benessere. Questo mondo senza amore non ci corrisponde. Ma l’energia per amare non ce l’abbiamo!

Eppure quando noi facciamo l’esperienza di essere amati o quando vediamo un altro ricreato da un gesto di amore, allora il cuore si desta e anche nella più grande contraddizione la vita rinasce. Ma dobbiamo passare attraverso l’esperienza, nostra o di altri! Dobbiamo vedere l’amore che accade. Sentire scorrere nelle vene un calore che non produciamo noi. Incrociare uno sguardo carico di tenerezza e di amore. Quando questo accade, ogni discorso sulla nostra fragilità si sgretola. La paura stessa lascia il campo ad una balbettante ma certa speranza. Restiamo fragili, ma vivi.

Tanti sono gli esempi di queste rinascite che abbiamo direttamente o indirettamente conosciuto, ma l’esempio più convincente e più commovente resta quando quello sguardo, quell’abbraccio, quella parola è “accaduta” a me. Chi di noi può negare che almeno una volta nella vita questo è successo? E se è successo, non può riaccadere?

Allora forse la questione non è diventare più buoni (impresa peraltro molto complessa!), ma essere più attenti ad intercettare l’amore che ci accade intorno e al quale possiamo attaccarci per esserne contagiati. Un problema di conoscenza e non di etica. Perché resta da scoprire da dove si origina il contagio. Chi ha amato per primo? Forse Uno che ha amato tanto da morire in croce e da perdonare i suoi carnefici? Val la pena approfondire.

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