In un articolo scientifico pubblicato qualche anno fa (Riva MA, Cesana G: The charity and the care: the origin and the evolution of hospitals. European Journal of Internal Medicine, 2012) gli Autori hanno descritto l’evoluzione dell’ospedale attraverso un classico approccio storiografico mostrando come questa struttura, originariamente nata per essere un centro dedicato alla accoglienza ed all’ospitalità dei soggetti ammalati e dei poveri, si sia poi sviluppata diventando un luogo per migliorare la conoscenza sanitaria e per formare generazioni di infermieri e di medici. Al termine della loro analisi gli Autori concludono che “la carità cristiana e la cultura laica da essa originata possono essere correttamente accreditate non solo di avere costituito l’elemento fondativo degli antichi ospedali, ma anche di rappresentare il valore che ha reso possibile lo sviluppo della medicina”.



Mi è venuto in mente il contenuto di questo articolo, e in particolare la sua conclusione, quando mi sono imbattuto nella lettura del discorso che papa Francesco ha fatto ai membri dell’Associazione Religiosa Istituti Socio-sanitari (ARIS) giovedì 13 aprile 2023, discorso nel quale il Santo Padre, considerando le strutture sanitarie gestite da ARIS “paragonabili alla locanda del buon samaritano dove i malati possono ricevere «l’olio della consolazione ed il vino della speranza»” e invitando l’Associazione a proseguire il proprio lavoro con “la perseveranza e la fantasia della carità”, ha colto l’occasione per proporre alcune considerazioni sulla sanità, un settore, dice il Pontefice, dove “la cultura dello scarto può mostrare più che altrove, a volte in modo evidente, le sue dolorose conseguenze. Quando infatti la persona malata non è messa al centro e considerata nella sua dignità, si ingenerano atteggiamenti che possono portare addirittura a speculare sulle disgrazie altrui”.



Il Papa non è un programmatore sanitario e, pur non evitando di entrare anche nel merito di alcune criticità che caratterizzano il contesto sanitario, non è ovviamente interessato a fare specifiche proposte di intervento, ma in questo periodo in cui è tornato a fervere il dibattito su aspetti fondanti del nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN), con tanti interventi (almeno a parole) del Ministro Schillaci, con tanti punti di vista di singoli esperti (particolarmente concentrati, purtroppo, attorno all’ideologica pretesa che il SSN assuma un carattere più pubblico nel senso di statale marginalizzando sempre di più il contributo di altri soggetti profit e non profit) o di Istituzioni (la Commissione Salute delle Regioni), con provvedimenti nazionali (il finanziamento del SSN per i prossimi anni, i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza, …) e/o locali (varie proposte regionali sulla riduzione dei tempi di attesa), e via discorrendo, il Papa dicevamo esprime una preoccupazione: che al centro della riflessione si mettano la persona malata e la sua dignità, e per evitare che questo invito risulti generico lo qualifica ulteriormente dicendo che “siamo chiamati a rispondere soprattutto alla domanda di salute dei più poveri, degli esclusi e di quanti, per ragioni di carattere economico o culturale, vedono disattesi i loro bisogni”.



Sono i temi, spesso evocati anche da queste colonne, dell’equità del SSN, della solidarietà, della rinuncia alle cure (non solo come conseguenza della pandemia che sta caratterizzando gli anni che stiamo vivendo), o, come dice ancora papa Francesco, della “povertà di salute … soprattutto nelle Regioni segnate da situazioni socio-economiche più difficili” dove “anche il pagamento di un ticket è un problema”, con il conseguente aumento del “rischio di favorire percorsi poco rispettosi della dignità stessa delle persone”. Con un’immagine molto forte ma anche molto efficace per le conseguenze che evoca, il Papa arriva addirittura a paragonare la rinuncia alle cure e la difficoltà di procurarsi le medicine come all’effetto di una “eutanasia nascosta e progressiva”. Cosa farebbero oggi, si chiede il Pontefice, i fondatori e le fondatrici di cui si parla nell’articolo che si è citato in apertura, e che in diverse epoche storiche e con carismi coraggiosi si sono spesi per costruire opere capaci di rispondere alla domanda di salute dei più deboli e sofferenti?

Oggi non è l’epoca di quei fondatori e fondatrici e abbiamo davanti a noi l’esistenza di un SSN che annovera tra i suoi principi l’universalità, l’equità, e l’uguaglianza, seppure con tutte le criticità che più volte non abbiamo esitato ad evidenziare e che anche il Papa ha richiamato nell’intervento che abbiamo citato. Quei fondatori/trici, però, se da una parte non avevano un SSN, dall’altra possedevano invece un quid in più: erano mossi dalla carità, quella carità che certo qualifica specificamente i cristiani ma che è anche possibile e praticabile da tutti, una carità che di fronte alla salute e all’assistenza significa attenzione e accoglienza di soggetti che sono oggettivamente bisognosi e fragili e che attendono di essere messi al centro come persone. Nel pieno del periodo epidemico, su queste colonne un contributo scriveva: “Non basta il posto letto, non bastano le terapie di supporto, quello che gli occhi dei malati chiedono da dentro il casco è qualcosa di più: una speranza, la certezza che quello che stanno passando non è senza significato, e lo chiedono innanzitutto a chi li assiste, a chi è con loro oggi”.

La sanità è un’impresa molto costosa e che necessita di tante risorse, e in questo contesto i processi di aziendalizzazione sono utili per aumentare l’efficienza nell’uso delle risorse, ma è anche un settore dove la carità trova esplicita espressione non solo nell’atteggiamento dei professionisti (ai quali è richiesto di andare oltre l’esecuzione tecnica della prestazione e di farsi carico del paziente), ma anche nelle tante attività gratuite e di volontariato che sono presenti. Non si tratta di cambiare i principi di universalità, equità, ed uguaglianza, oppure di integrare con attività gratuite la mancanza di sufficiente finanziamento che lo Stato garantisce al SSN: occorre invece, sull’onda anche dell’invito di papa Francesco, fare al sistema una iniezione di carità (la fantasia della carità) affinché la persona malata sia messa al centro e considerata nella sua dignità.

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Mi è venuto in mente il contenuto di questo articolo, e in particolare la sua conclusione, quando mi sono imbattuto nella lettura del discorso che papa Francesco ha fatto ai membri dell’Associazione Religiosa Istituti Socio-sanitari (ARIS) giovedì 13 aprile 2023, discorso nel quale il Santo Padre, considerando le strutture sanitarie gestite da ARIS “paragonabili alla locanda del buon samaritano dove i malati possono ricevere «l’olio della consolazione ed il vino della speranza»” e invitando l’Associazione a proseguire il proprio lavoro con “la perseveranza e la fantasia della carità”, ha colto l’occasione per proporre alcune considerazioni sulla sanità, un settore, dice il Pontefice, dove “la cultura dello scarto può mostrare più che altrove, a volte in modo evidente, le sue dolorose conseguenze. Quando infatti la persona malata non è messa al centro e considerata nella sua dignità, si ingenerano atteggiamenti che possono portare addirittura a speculare sulle disgrazie altrui”.

Il Papa non è un programmatore sanitario e, pur non evitando di entrare anche nel merito di alcune criticità che caratterizzano il contesto sanitario, non è ovviamente interessato a fare specifiche proposte di intervento, ma in questo periodo in cui è tornato a fervere il dibattito su aspetti fondanti del nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN), con tanti interventi (almeno a parole) del Ministro Schillaci, con tanti punti di vista di singoli esperti (particolarmente concentrati, purtroppo, attorno all’ideologica pretesa che il SSN assuma un carattere più pubblico nel senso di statale marginalizzando sempre di più il contributo di altri soggetti profit e non profit) o di Istituzioni (la Commissione Salute delle Regioni), con provvedimenti nazionali (il finanziamento del SSN per i prossimi anni, i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza, …) e/o locali (varie proposte regionali sulla riduzione dei tempi di attesa), e via discorrendo, il Papa dicevamo esprime una preoccupazione: che al centro della riflessione si mettano la persona malata e la sua dignità, e per evitare che questo invito risulti generico lo qualifica ulteriormente dicendo che “siamo chiamati a rispondere soprattutto alla domanda di salute dei più poveri, degli esclusi e di quanti, per ragioni di carattere economico o culturale, vedono disattesi i loro bisogni”.

Sono i temi, spesso evocati anche da queste colonne, dell’equità del SSN, della solidarietà, della rinuncia alle cure (non solo come conseguenza della pandemia che sta caratterizzando gli anni che stiamo vivendo), o, come dice ancora papa Francesco, della “povertà di salute … soprattutto nelle Regioni segnate da situazioni socio-economiche più difficili” dove “anche il pagamento di un ticket è un problema”, con il conseguente aumento del “rischio di favorire percorsi poco rispettosi della dignità stessa delle persone”. Con un’immagine molto forte ma anche molto efficace per le conseguenze che evoca, il Papa arriva addirittura a paragonare la rinuncia alle cure e la difficoltà di procurarsi le medicine come all’effetto di una “eutanasia nascosta e progressiva”. Cosa farebbero oggi, si chiede il Pontefice, i fondatori e le fondatrici di cui si parla nell’articolo che si è citato in apertura, e che in diverse epoche storiche e con carismi coraggiosi si sono spesi per costruire opere capaci di rispondere alla domanda di salute dei più deboli e sofferenti?

Oggi non è l’epoca di quei fondatori e fondatrici e abbiamo davanti a noi l’esistenza di un SSN che annovera tra i suoi principi l’universalità, l’equità, e l’uguaglianza, seppure con tutte le criticità che più volte non abbiamo esitato ad evidenziare e che anche il Papa ha richiamato nell’intervento che abbiamo citato. Quei fondatori/trici, però, se da una parte non avevano un SSN, dall’altra possedevano invece un quid in più: erano mossi dalla carità, quella carità che certo qualifica specificamente i cristiani ma che è anche possibile e praticabile da tutti, una carità che di fronte alla salute e all’assistenza significa attenzione e accoglienza di soggetti che sono oggettivamente bisognosi e fragili e che attendono di essere messi al centro come persone. Nel pieno del periodo epidemico, su queste colonne un contributo scriveva: “Non basta il posto letto, non bastano le terapie di supporto, quello che gli occhi dei malati chiedono da dentro il casco è qualcosa di più: una speranza, la certezza che quello che stanno passando non è senza significato, e lo chiedono innanzitutto a chi li assiste, a chi è con loro oggi”.

La sanità è un’impresa molto costosa e che necessita di tante risorse, e in questo contesto i processi di aziendalizzazione sono utili per aumentare l’efficienza nell’uso delle risorse, ma è anche un settore dove la carità trova esplicita espressione non solo nell’atteggiamento dei professionisti (ai quali è richiesto di andare oltre l’esecuzione tecnica della prestazione e di farsi carico del paziente), ma anche nelle tante attività gratuite e di volontariato che sono presenti. Non si tratta di cambiare i principi di universalità, equità, ed uguaglianza, oppure di integrare con attività gratuite la mancanza di sufficiente finanziamento che lo Stato garantisce al SSN: occorre invece, sull’onda anche dell’invito di papa Francesco, fare al sistema una iniezione di carità (la fantasia della carità) affinché la persona malata sia messa al centro e considerata nella sua dignità.

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