È l’umiltà del Dio cristiano, che soltanto il Cristo di Nazareth conosce: “Se (mi amate)“. Come a un cecchino dalla mira perfetta basterà un solo colpo per andare bersaglio, così a Dio basta una particella minuscola, di quelle ipotetiche, perché la libertà dell’uomo abbia la grande occasione di giungere a pienezza. È solo una congettura la sua, il preludio di una frase, che è anche una confidenza, attraverso la quale si esprime un’ipotesi dalla quale potrà derivare, un giorno, una ripercussione: “(Se mi amate), non vi lascerò orfani“.
Non è un diktat, è un augurio, un auspicio, una speranza: quella che l’uomo accetti la proposta, “perché a governare con la paura sono capaci tutti”, pare chiarire Cristo. Non c’è ombra alcuna di ricatto, di minaccia, di estorsione. Solo tantissime eventualità collegate a quel “se“: tante possibilità, tante deviazioni, tante scelte, tanti errori. Tanta vita, tutta la vita: la libertà. Puoi accoglierla o rifiutarla, farla diventare tua o rinnegarla, custodirla o anche maledirla. La grandezza sta nell’essere sempre una possibilità e mai costrizione: “Io ritrovo, passando, l’infinito nell’umiltà” (U. Saba). Chissà, poi, se certe possibilità lo sanno di essere le ultime: certe volte, come in tutte le storie d’amore, anche con Dio servirà un’ultima possibilità, poi ancora una, l’ultima, l’ultimissima e basta. L’ultima sarà sempre la penultima.
È l’ipotesi del grande amore, dell’innamoramento folle, di quelli che non ti fanno girar la testa, ma ti raddrizzano il cuore: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti“. Amare è correre il grande pericolo di essere, un giorno, traditi: non amare è avere la certezza di rimanere soli a invecchiare sulla faccia della terra. Per questo Cristo rilancia la sua pazza sfida che appaga il cuore: “Non vi lascerò orfani“. Lui, per il cuore dell’uomo, vuole diventare la risposta alla paura della solitudine. Di più: dell’orfanezza, del rimanere senza padri o madri. Non è ancora la peggiore cosa che ti possa capitare: c’è anche chi vivrà orfano con i genitori vivi e vegeti che, però, si sono scordati di lui.
Cristo mette le cose bene in chiaro, per non confondersi con i pifferai magici: “Tu, per me, sei prezioso. Tu sei il mio bene. Io per te sono disposto a morire in croce“. Detto e fatto. Accettò la croce non per una mera questione di coerenza, ma per un bisogno d’amore smisurato: da quel giorno tutto il mondo seppe cos’è la misericordia. Da quella volta in poi, Dio calcolò la possibilità d’abitare dentro l’uomo: “In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi“. Dio dentro di noi: se non è follia, poco ci manca. Il creatore a nascondersi dentro la creatura, il papà a caccia di un nascondiglio nel figlio, la potenza nell’impotenza che farà dire alla storia: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi” (Rm 8,31).
L’ingresso di Dio nel cuore dell’uomo per i latini rappresentava l’inizio dell’ispirazione poetica, una specie di invasamento di origine divina: “Est deus in nobis, agitante calescimus illo” (“C’è un Dio dentro noi, e quando ci agita ci scaldiamo”). Sempre così: c’è chi ti porta calore e chi ti fa bruciare. Al contrario: ci sono persone che neanche se si sforzassero riuscirebbero a dare calore. Non è una colpa loro, è una sorta di malattia. Un limite, davvero un peccato. “Peccato, davvero!”
Nessun sforzo, dunque, per andare a ricercare Dio se Dio è già dentro di noi: occorrerà prendere consapevolezza. Che poi la chiamano consapevolezza, ma a volte è una vera e propria rinascita. Sapere bene cosa non si vuole più: la solitudine di chi sente di non essere desiderato più da nessuno sulla faccia di quaggiù. “Sempre l’amore sta sulla finestra e continua l’infinito a germogliare”, scrive Alda Merini: è che ogni tanto occorrere dare una possibilità all’impossibile altrimenti l’impossibile rimane tale. “Se mi amate” (cfr Gv 14,15-21): l’amore, con Cristo, rimarrà per sempre una possibilità, la più bella ma pur sempre possibilità. Perché non ci potrà mai essere amore laddove non c’è libertà. Anche d’andarsene dall’amore.
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