Il Mef torna in pressing sui risparmiatori italiani con una nuova emissione di Btp “speciali” (i Valore, in lancio dal 5 giugno, avranno la durata relativamente breve di quattro anni e un rendimento a crescere dopo il primo biennio). Lo stesso ministro Giancarlo Giorgetti, intanto, pungola le banche: con i tasso Bce al 4% (non ancora al picco) e lo Stato che ricomincia a offrire tassi diversi dallo zero – anche se lontani dalla copertura dell’inflazione – la liquidità in conto corrente non può continuare ad avere remunerazione nulla. E non è tutta colpa di risparmiatori troppo cauti se i prodotti di asset management (anzitutto le polizze) stanno perdendo appeal: i rendimenti correnti sono oggettivamente troppo bassi rispetto al rischio di esposizione sui mercati (soprattutto azionari) e ai costi di gestione caricati sulla clientela. Il 2022 ha registrato un calo epocale delle masse amministrate a livello globale (-10%) è l’Italia non ne è stata certo immune.
Nell’intrico delle variabili geopolitico-finanziarie – alcune vicine all’impazzimento – non è facile separare ragioni e “torti”, razionalità ed emotività (sempre più a rischio d’influenza da fake news). Nel mezzo c’è sempre una delle cifre più importanti del Sistema-Italia: un “giacimento” di oltre 5mila miliardi di ricchezza finanziaria (di cui un terzo tuttora liquido in depositi bancari e postali). E in questo quadro non è stata certamente banale, al recente Salone del Risparmio di Milano, la voce del Censis, cui l’Assogestioni (l’associazione italiana dei gestori di risparmio) ha commissionato un focus. La cui parole chiave è risultata “diseducazione finanziaria”.
Proprio quando dalla “bolla del risparmio cash” giungono primi segni di sgonfiamento (-1,6% negli ultimi dodici mesi la liquidità), l’educazione finanziaria dei risparmiatori italiani continua a essere scarsa. Il 40,9% – secondo il report – ancora non comprende l’effetto dell’inflazione sul potere d’acquisto; il 47,8% le ripercussioni del tasso di interesse sui prestiti bancari; il 41,6% non sa distinguere tra azioni e obbligazioni. E per il 37,4% un investimento remunerativo è solo un colpo di fortuna. Sui quattro quesiti di verifica posti da un’indagine campionaria, il 26,2% degli italiani ha risposto correttamente a due quesiti, il 16,2% ha risposto correttamente a un solo quesito, il 9,1% a nessun quesito.
Ma il “carotaggio” sociostatistico del Censis è andato in profondità nel rivelare le falle nella cultura finanziaria degli italiani. Tra le persone che dichiarano, ad esempio, di sapere che cos’è l’inflazione, 4 su 10 non sanno che riduce il potere d’acquisto dei redditi. Vale per il 34,2% dei laureati, il 38,2% dei diplomati e il 63,2% di chi detiene titoli di studio più bassi. La verifica delle reali conoscenze finanziarie smentisce l’autovalutazione positiva di molti risparmiatori. Tra coloro che pensano di avere adeguate conoscenze finanziarie, il 25,4% ha risposto bene a due quesiti, il 15,4% a un solo quesito, il 7,1% a nessun quesito. La presunzione di sapere espone al rischio di fare scelte finanziarie sbagliate. Il 40,2% di chi è convinto di possedere adeguate conoscenze finanziarie ha sperimentato perdite sui propri investimenti rispetto al 29,8% di chi pensa di non avere adeguate conoscenze in materia. L’eccesso di fiducia nelle proprie competenze porta ad abbassare la guardia e a esporsi di più.
Se da anni Bankitalia in primis ha posto lo sviluppo di progetti di educazione finanziaria nel Paese fra le sue missioni istituzionali, i “compiti a casa” per i risparmiatori italiani sembrano ancora molti e impegnativi. Il passaggio in corso – ricorda il Censis – presenta molti rischi, ma anche l’opportunità di un’auto-educazione fatta affrontando il “campo” con consapevolezze nuove.
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