Un sapore amaro hanno questi tempi confusi. Un odore di zolfo e carbone che entra nelle narici e come una polvere sottile si insinua nel respiro. Pungente e aspro, il fumo delle polveri esplosive che viene dal Mar Nero copre il quotidiano con la sua presenza, annebbia il presente e rende chiaro solo il fatto che avanti a noi il futuro sta prendendo una piega diversa, inattesa. Ogni cosa andrà altrove rispetto alle speranze che la fine della pandemia aveva lasciato intravvedere. Quasi come un premio, si aspettava un periodo di ripresa e dialogo che favorisse la crescita economica e, perché no, anche umana, lasciando la cupezza alle spalle. Ma è per questo che si fa la guerra: si infligge dolore e sofferenza per portare la storia di tanti verso gli interessi di pochi.

Nella storia del nostro Paese l’acre aria delle bombe ha avvolto in più occasioni i corpi innocenti, usati per manipolare, con la paura, il destino di molti. E sempre, quando il fumo si è posato, tutto è cambiato. Accadde dopo Piazza Fontana, dopo Bologna e Ustica, ed è accaduto giusto trent’anni fa nella stagione delle bombe messe in giro per l’Italia, con le piazze e le vie in macerie diventate scenario di una guerra aperta tra due futuri. Uno che andava verso il superamento del blocco democratico imposto dalla presenza del Muro a Berlino con il definitivo passaggio ad una democrazia libera e compiuta. E l’altro che voleva il Paese gestito e condizionato ed in una buona parte “condotto” dove poteri forti e sotterranei ritenevano più sicura la propria guida che quella del popolo.

La fine di un’epoca, nel 1992, avrebbe imposto un reale e maturo bilancio di ciò che aveva significato impedire ad ogni costo che vi fosse una guida “non atlantista” del Paese. Era stato necessario agire, perché non si poteva che combattere per tenere l’Italia nel campo atlantico. In quegli anni tante forze grigie si avvantaggiarono del loro ruolo di àncora, e furono spesso coperte, per i servizi offerti alla causa. Caduto il muro, quei mondi divennero inutili fardelli e si scoprirono improvvisamente minacciati dal passato e messi ai margini dei sistemi di potere che avevano in parte contribuito a gestire.

In quello scenario, appare ora sempre più chiara la strategia che venne portata avanti con le bombe a Milano, Firenze, Roma (dopo aver massacrato magistrati e agenti). Un strategia di guerra aperta a quella parte borghese e popolare che si era fatta Stato e che voleva aprire una stagione di nuova concordia e di gestione del governo nel solo interesse dei cittadini e del Paese. Questo avrebbe aperto un processo di abbandono progressivo al loro destino delle forze occulte che avevo operato e che decisero, semplicemente, di fare la guerra. Non quella politica e del consenso, che altri interpretarono, ma quella delle bombe e dei morti.

Che fosse la mafia da sola, o che fosse con altri, la guerra fu utile ad incutere timori e paure ed a piegare la sorte della storia del Paese che non poté, afflitto dall’assedio delle esplosioni, seguire la sua parabola, liberando il passato dalle coltri di fumo per guardare al futuro in modo diverso. Le guerre servono a questo, ad impedire che la Storia vada altrove da quelli che sono i desideri di chi la scatena.

e bombe del 1993 sono la più recente aggressione sistematica al Paese da parte di forze occulte che hanno tentato, e forse in parte sono riuscite, a condizionare il futuro dell’Italia. Quella stagione ha avuto centinaia di protagonisti e non è stata indagata abbastanza. Perché è nel nostro passato che affondano le radici di quell’inquietudine che oggi ci avvolge. Le bombe hanno piegato la traiettoria di un percorso e oggi siamo ancora su quella scia falsata che impedisce di fare chiarezza fino in fondo su cosa sia stata e sia realmente la mafia, su chi l’abbia usata o ne sia stato usato, su cosa ci sia ancora di inconfessabile nel rapporto tra potere apparente e potere reale.

Sul perché scoppiano le guerre, sul Mar Nero o a Via Palestro, si impone di avere una visone dei fatti chiara che superi con la sua forza il fumo acre degli esplosivi e che dia dignità alle morti innocenti e punisca chi le ha sacrificate per scrivere la storia a proprio modo. E si impone che torni ad essere oggetto di attenzione il sistema di potere che ha tra le mani le chiavi di lettura di quella stagione e che oggi appare inabissato e silente mentre continua a prosperare e gestire denaro e potere. Se pensiamo che un’azienda che fattura solo in Italia 40 miliardi l’anno (tanto stima la Cgia di Mestre essere il fatturato diretto delle mafie sui 174 miliardi di giro d’affari “illegale” censiti, secondo un report di gennaio 2023) sia una entità ininfluente e priva di legami strutturati con il potere, vuol dire che quelle bombe hanno ottenuto l’effetto. Spostare tutte le attenzioni dell’opinione pubblica da quel tema con la paura che possa ripetersi la stagione della guerra, nel caso in cui riprendesse un stagione di rinnovata speranza per un futuro diverso, è un gran risultato durato quasi un trentennio.

Come sulle sponde del Mar Nero, le bombe del 1993 ammazzano innocenti ed incutono timore in chi resta facendogli perdere, tra i fumi densi delle esplosioni, la speranza di essere davvero liberi. E questo non possiamo accettare che accada, se vogliamo dirci degni del sacrificio di chi con quelle bombe ha perso la vita e vogliamo uscire dai fumi di un passato che ammorba ancora il nostro presente.

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