Nello scrivere l’editoriale di questa settimana, avevo incominciato a formulare qualche riflessione sul punto (morto) a cui è arrivato il Pnrr dei docenti, quando è intervenuto il decreto legge sull’alternanza scuola lavoro, il cui nome d’arte – PCTO, percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento – è noto solo a pochi privilegiati, dato che tutti continuano a chiamarla “alternanza”.
L’obiettivo del pacchetto di interventi presentato il primo maggio dal ministro Valditara è, a detta del ministro stesso, “garantire una maggiore sicurezza ed efficacia dei PCTO”, obiettivo che mi pare al tempo stesso generico e poco aderente ai motivi per cui l’alternanza medesima è stata prima proposta in forma sperimentale, poi generalizzata, poi sterilizzata nella forma ridotta e un po’ ipocrita dei PCTO, e questo nonostante che le poche e spesso frammentarie valutazioni fatte avessero testimoniato di esiti prevalentemente positivi.
Dovremmo ricordarci che l’alternanza nasceva come riconoscimento del fatto che si può apprendere seduti davanti a una cattedra ma anche in piedi davanti a un manufatto, ed è un diritto degli studenti alternare momenti di studio e compiti di realtà. Stupisce che Valditara, che da relatore della Riforma Gelmini dell’Università ha favorito il raccordo università-imprese, debba cedere a rigurgiti di pensiero conformista, che tutelando una presunta “purezza” della scuola finiscono per chiuderla al mondo del lavoro, magari meravigliandosi che non offra le qualificazioni richieste.
Il ministro afferma che la riforma avviene “dopo una fase di ascolto attento delle istanze delle varie componenti della scuola e di confronto proficuo con le rappresentanze sindacali” (dei sindacati scuola o dei sindacati in generale? Forse si potrebbe discutere sul merito degli interlocutori più adatti), che hanno tutti insistito sulla sicurezza e sulla qualità. La sicurezza è certamente fondamentale, ed è un’ovvia precondizione per la realizzazione di qualsiasi progetto di alternanza, ma è altrettanto ovvio che gli incidenti, purtroppo anche mortali, che hanno coinvolto i ragazzi non sono un problema del modello didattico, ma del mondo del lavoro, in cui il numero di vittime anche giovani e giovanissime è certamente troppo elevato. Fare un uso strumentale di questi eventi tristissimi per riproporre il logoro schema degli studenti sfruttati, incatenati alle fotocopiatrici come gli schiavi alle galere, è un comportamento che considero leggermente ignobile.
Per accrescere la sicurezza, il decreto afferma che “le imprese impegnate nei Percorsi dovranno integrare il proprio documento di valutazione dei rischi con una sezione specifica che indicherà le misure di prevenzione e i dispositivi di protezione per i ragazzi. L’integrazione al documento sarà fornita alla scuola e allegata alla Convenzione stipulata tra l’istituto e l’impresa”.
Ora, i ragazzi in alternanza dovrebbero per definizione lavorare in sicurezza, in condizioni fissate dall’accordo fra scuola e impresa, e già esiste una normativa che ne preclude l’utilizzo in condizioni di rischio, e prevede l’affiancamento di un lavoratore esperto che effettivamente si occupi della sua formazione e delle condizioni in cui lavora. Purtroppo l’imprevedibile può sempre succedere, ed è doveroso chiedere alle imprese di fornire una documentazione esauriente, e alle scuole di prenderne visione, ma non si può caricare sul preside o sul tutor una responsabilità incondizionata. Forse potrebbe bastare una serie di informazioni mirate sulle condizioni in cui opera l’impresa, sulla sua qualità formativa, e sulle eventuali esperienze già fatte. Rinforzare il ruolo del Registro nazionale per l’alternanza scuola lavoro mi pare un passo in avanti.
Infine, il Decreto Legge prevede (dovremmo dire ribadisce) che il PCTO deve essere coerente con il Piano Triennale dell’Offerta Formativa degli istituti e con il profilo culturale, educativo e professionale dei singoli indirizzi di studio offerti dalle scuole. Ma lo scopo della formazione in alternanza non era e non doveva essere quello di una specie di professionalizzazione anticipata, ma quello di valorizzare la funziona educativa del lavoro, quindi con un’impostazione molto meno riduttiva di quel che è stato sbandierato dai suoi detrattori. I ragazzi del classico che hanno fatto alternanza in una grande impresa o in una bottega artigiana hanno fatto la stessa fondamentale esperienza, e cioè che sul lavoro si attivano modi di apprendere diversi che nelle ore di fisica o di filosofia, e si imparano cose diverse, dal lavorare in gruppo al coordinarsi per un obiettivo, alla capacità di risolvere i problemi applicando quello che hanno imparato, a scuola e fuori. Il genitore che ha detto seccamente alla preside “se avessi voluto che mio figlio andasse in fabbrica, non gli avrei fatto fare il classico” (…o forse ha detto “se volevo che mio figlio andava in fabbrica non gli facevo fare il classico”) non solo non aveva capito nulla dell’alternanza, ma nemmeno in generale di ciò a cui serve la scuola.
Certamente, i ragazzi non possono fare da soli questo percorso: il decreto introduce formalmente la figura del docente coordinatore di progettazione, che sarà individuato dall’istituzione scolastica. Io avevo l’impressione che fosse già previsto, forse non obbligatorio (vogliamo andare contro l’unicità del ruolo docente? No che non vogliamo…), ma fondamentale per evitare il consueto dilettantismo, e anzi era auspicato, e molte scuole lo hanno attuato, anche un coordinamento sistematico fra i due tutor, quello scolastico e quello aziendale, e in alcuni casi si è realizzata perfino una formazione specifica.
Il coordinamento sembra essere un obiettivo importante: si parla di un sistema di costante monitoraggio della qualità, grazie all’Osservatorio nazionale per il sostegno alle attività di monitoraggio e di valutazione dei percorsi, e all’ introduzione dell’Albo delle buone pratiche dei PCTO, che raccoglierà le migliori azioni delle istituzioni scolastiche, per incentivare la diffusione e la condivisione delle esperienze di eccellenza. La piattaforma dovrebbe secondo me contenere uno spazio in cui si sollecitano le scuole a fornire una valutazione sulle capacità di accoglienza delle imprese. Se la valutazione, come mi sembra auspicabile, deve essere fatta, chi può farla, se non le scuole? Aspettiamo delucidazioni dal ministero.
Tutto ciò avverrà grazie all’interazione e allo scambio di informazioni e di dati, “finora carenti” precisa il ministro con quello che gli inglesi chiamerebbero uno spettacolare understatement, tra il Registro nazionale per l’alternanza scuola-lavoro e la Piattaforma dell’alternanza scuola-lavoro, istituita presso il Ministero dell’Istruzione e del Merito, che viene rinominata come “Piattaforma per i Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento”.
“Nomina sunt consequentia rerum”, diceva Dante: qui si va oltre, cambiamo nome e realizzeremo una cosa diversa. A meno che non si preferisca Shakespeare, e Giulietta che dice “ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome avrebbe lo stesso profumo”…
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