Ogni sogno inizia come un’avventura senza senso fatta di colori innaturali e luoghi che ci sono familiari, ma che appaiono irriconoscibili nella loro essenza. La materia di cui sono fatti è impalpabile e governata da leggi fisiche del tutto astruse, si può volare o cadere senza che nulla accada, viaggiare tra luoghi distanti senza che lo spazio esista, rivedere volti lontani ormai svaniti annullando il tempo; tutto vive in un confuso mondo di evanescenza impalpabile, eppure i sogni lasciano dietro di sé la cosa più reale che esista: le emozioni. Uniche cose vere nella folla corsa della mente tra luoghi che non esistono e persone sconosciute che stranamente ci sono familiari. A materializzarli, i sogni, prenderebbero forma con proporzioni geometriche impossibili ed innaturali, tanto da apparire di per se stessi, gli oggetti e le persone, grotteschi simulacri della realtà.

Eppure tra questi sogni alcuni fanno eccezione alla loro irreale essenza. Sono i sogni collettivi e condivisi, quelli generati dalla passione e dalle idee che hanno, stranamente per chi li condivide, la stessa identica natura, la medesima proiezione nella realtà. Succede che quei sogni accadano e ci si interroga se sia vero, se sia reale quel che si vive. Una realtà che aveva corpo solo nella mente di tanti diviene concreta e vera in quell’istante in cui si realizza che è tutto vero. Capita nella politica quando si raggiunge la vittoria inattesa, nello sport ed in pochi altri campi. E tutte le volte ci si chiede cosa sarà della realtà dopo che quel sogno è divenuto materia.

In queste ore la città esperta nei sogni da interpretare e da usare come cifrario per il futuro sta vivendo il suo momento di smarrimento collettivo vivendo un sogno che si materializza. È accaduto che per una città che sognava di vincere qualcosa, Napoli, un sogno è oggi reale. Non tanto il sogno, la vittoria sportiva in sé, quanto il fatto che si sia arrivati in cima. Senza un folletto divino a guidarla, senza un miracolo a giustificarla.

Ultima in quasi ogni classifica, dalla qualità della vita alla percentuale di occupati, ha numeri da record solo per la somma di quanti usufruiscono del reddito di cittadinanza o per i dati sull’abbandono scolastico. Resta indietro in tante classifiche, a partire dai dati Invalsi passando per la qualità dei servizi offerti.

Eppure, nonostante ciò, è da poco in cima anche in altro. È la città con il maggior incremento di presenze turistiche e di numero di notti trascorse in città dai suoi ospiti. Ha l’aeroporto con il maggior tasso di crescita e coi servizi migliori di tanti scali continentali. È nella top ten dei luoghi da vedere nel mondo per la Cnn, ha i poli museali con i maggiori incrementi ed il giorno dopo che 500mila persone sono scese in piazza fino a notte fonda, alle 7 del mattino la città era pronta e pulita.

Insomma, non è lo stesso posto di 10 anni fa. È cambiata, sta cambiando, negli ultimi anni soprattutto. A fatica ha ritrovato una sua spinta positiva. Uscita dall’illusione paralizzante del masaniello de Magistris aveva due ipotetici sindaci di stoffa diversa da quello uscente. Chiunque avesse vinto sapeva cosa non fare e Manfredi, a cui è toccata in sorte, non ha mai messo il vestito ornato d’argento arringando il popolo come il mercante che volle farsi Viceré scegliendo invece di far marciare, seppur lentamente, le cose. Non perché sia lui a guidare, va detto, ma perché la città era stanca di iperboli lessicali, di vedersi rappresentata da chi voleva battere moneta o creare flotte protoborboniche per fare i conquistatori del mare.

Lo stare in cima non ha certo messo d’accordo tutti. Resta una parte della città che nella gioia rimpiange il fatto che si è vinto senza “il miracolo”. Dimostrando che, se ci si estranea per bene dai vizi di quella città tenendo le virtù, non solo si è belli ma si arriva primi. Non serve solo la furbizia, l’improvvisazione; si può vincere con metodo. Lavorando, impegnandosi come i tanti nuovi piccoli imprenditori che nei Quartieri Spagnoli, nel centro storico alzano meneghinamente la cler “per ciapà i sghei” invece che cercare un posto al comune nelle liste dei disoccupati, infrangendo altri stereotipi.

Certo non può essere solo il turismo a dare fiato all’economia della città. Serve che il progetto Bagnoli chiuda prima del 2029 (data ultima ad oggi disponibile), serve che i circa 2 miliardi di investimenti nella zona Est di Napoli partano subito (e che De Luca trovi con Manfredi l’intesa definitiva sull’urbanistica, che appare vicina), serve che ciascuno faccia, silenziosamente, il suo compito, casomai accelerando, ora che il guado dal pantano del decennio precedente appare in larga parte alle spalle.

Insomma serve che la materialità di un sogno collettivo si concretizzi e si comprenda che in tantissimi ora vogliono una città che sia essa stessa a voler arrivare in cima, con a capo un gruppo di persone a guidarla con metodi efficaci. Serve capire che solo un sogno condiviso e collettivo può avere la forza di farsi realtà e rendere materia ciò che per troppo tempo è rimasto solo progetti di massima e idee per convegni.

Questa nuova dimensione può avere la forza di rendere ancora più minoritaria e socialmente estranea la Napoli di Gomorra, quella parte che ancora resiste a tutto e che però assomiglia sempre più, essa sì, ad un incubo di pochi che tanti non vogliono più condividere. Sognare assieme ha aiutato la realtà che si voleva a realizzarsi. È da questo sogno collettivo di essere vincenti che bisogna partire. Perché è nella terra dei sogni che crescono le radici del futuro, e di sogni a Napoli ora se ne possono fare. Finalmente.

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