Di quali professionisti avrà bisogno la Sanità del 2033? La domanda porta subito a interrogarci sulle competenze o su nuove competenze necessarie in un mondo della sanità sempre più specialistica, multiprofessionale, robotizzata, con utilizzo dell’intelligenza artificiale che ha come necessaria conseguenza la modifica degli equilibri tra le professioni esistenti. Ma non si sbaglia se si parte dal tema, oggi dibattuto, sulla carenza di alcuni professionisti e una serie di lacune che, se non colmate, rischiano di far mancare oltre 120.000 tra medici e infermieri nei prossimi dieci anni.
Secondo i dati OECD 2021 (Organization for Economic Cooperation and Development) in Italia nel 2000 il numero di medici era di 3,5 x 1000 abitanti, salito a 4,1 nel 2019, contro un valore medio di 3,6; mentre il numero di infermieri era di 5,7 x 1000 abitanti, salito nel 2019 a 6,2, ma molto lontano dal valore medio di 8,8 che conferma, se ci si volesse allineare alla media, una carenza importante nella professione infermieristica comunque non colmata dai prossimi inserimenti previsti dal Pnrr missione 6 componente 1, di fatto una riforma, con la definizione di un nuovo modello organizzativo della rete di Assistenza Sanitaria Territoriale e dal DM 77/2022 con il relativo fabbisogno di personale.
Il ministro dell’Istruzione e del Merito recentemente ha ricordato che tra 10 anni avremo un milione e mezzo di studenti in meno, passando dagli odierni 7,4 milioni di studenti, (dato del 2021) a poco più di 6 milioni nell’anno scolastico 2033/34 con ondate di 110/120mila ragazzi in meno ogni anno” Non entro nel merito sui valori della natalità, ma quello che accade nel presente e cosa accadrà nel futuro sulla natalità è un ulteriore tensore sulla possibilità di quali professionisti avremo nel 2033.
A questo si aggiunge un dato su tutti: siamo al record negativo di 339mila nascite a fronte di 700mila morti. E il rapporto tra lavoratori e pensionati passerà dall’attuale 1,4 lavoratori per ogni pensionato per arrivare nel 2050 a uno a uno. Giancarlo Blangiardo, ex Presidente Istat, ha sottolineato che se si dovesse andare incontro a questa modifica della struttura per età della popolazione, il nostro paese perderebbe quasi 500 miliardi di Pil, che ovviamente non è pochissimo.
La domanda è quindi “cosa fare o almeno cosa pensare di poter fare”.
Le 30 professioni sanitarie oggi riconosciute, con circa 1,5 milioni di professionisti, costituiscono una “cintura di sicurezza” per la comunità nel suo insieme. L’armamento diagnostico terapeutico che negli ultimi 30 anni era fatto di poche decine di opzioni oggi si compone di oltre 4.000 procedure chirurgiche e oltre 6.000 farmaci. Nel 1970 la cura di un malato in ospedale prevedeva la collaborazione di competenze pari a 4 professionisti, oggi la media è salita a 15 e data la crescita esponenziale dell’innovazione lo scenario fra 10 anni potrebbe essere preoccupante. L’innovazione sta cambiando il lavoro nella sanità, sempre di più la Medicina si avvarrà di tecnologie che provengono da mondi diversi, dalla Medicina di precisione, dalla Robotica, dalla Digitalizzazione, dall’Intelligenza Artificiale fino alla Realtà aumentata e virtuale.
Mai come ora parlare di competenze “future” per la salute pubblica è particolarmente importante e significativo, ma anche parlare di pianificazione all’accesso alle professioni diventa strategico con una conseguente responsabilità dell’accademia nel percorso formativo che non può avere uno sguardo solo all’esperienza consolidata, ma deve necessariamente saper interpretare bisogni formativi proiettati al futuro. In parte questa esigenza è stata già colta a livello ministeriale attraverso l’inserimento di un asse dedicato alla formazione digitale all’interno del Pnrr, le cui risorse sono un’occasione che non deve essere sprecata; innovazione digitale per risparmiare tempo e guadagnare inefficacia, sviluppare nuove professioni e un nuovo modo di lavorare.
Siamo di fronte alla necessità di uno skill-mix delle professioni, per la trasformazione dei servizi, ma occorre pensare anche a nuove professioni che intersecano i quattro livelli crescenti dei nostri professionisti:
– livello individuale con la valorizzazione che porta ad un aumento di competenza/autonomia del professionista;
– livello intra-professionale con la delega che implica il trasferimento di responsabilità tra gruppi della medesima professione;
– livello inter-professionale con la sostituzione che prevede la modifica dei confini tra diversi gruppi professionali;
– livello extra-professionale per l’innovazione con la definizione di nuove professionalità.
In questo percorso di cambiamento “culturale e professionale” si aprono spazi promettenti di innovazione per farmacisti, infermieri, biologi, psicologi e OSS con formazione complementare, nei setting a minore contendibilità come il territorio, ma non solo, perché anche nel consolidato setting ospedaliero abbiamo opportunità di creare spazi per personale di elevata qualificazione con incarichi di funzione professionale da “professionista specialista” sia in ambito clinico-assistenziale che il quello della ricerca biomedica.
La sfida sarà di coniugare la tecnologia con la dimensione umana della Medicina ripensando l’organizzazione e le competenze del personale sanitario di domani. Siamo oramai consapevoli che la tecnologia sta sostituendo molti aspetti ripetitivi e operativi del nostro modo di lavorare, ma sta anche proponendosi in molti aspetti dei lavori intellettuali e professionali. Quello che resta di specifico e, quindi non sostituibile, ma che dobbiamo presidiare, e sostenere sono i valori alla base della medicina: Cultura e Ricerca; Empatia e contatto Umano, corretto uso delle risorse e rispetto dei colleghi, Responsabilità ed Etica.
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