Gli avvenimenti nazionali e globali a cui stiamo assistendo hanno radici profonde su cui è bene continuare a riflettere, per non essere tra coloro che “pur essendo testimoni di fatti importantissimi e determinanti dell’avvenire della civiltà, neanche se ne accorgono”, come recitava Enzo Jannacci nell’introduzione alla canzone “Prete Liprando e il giudizio di Dio”.
Dice Massimo Borghesi sul numero di Nuova Atlantide in uscita la prossima settimana: “I decenni che ci separano dall’era Thatcher-Reagan hanno visto l’universo sociale dominato da un modello tecnico-materialistico, saturo di un ottimismo planetario fuori misura, rigorosamente separato da ogni considerazione etico-politica. (…) Il risultato è un mondo scisso, diviso tra freddezza ed esaltazione, lavoro e divertissement, business ed eros. (…) L’unità della globalizzazione è resa possibile dalla sterilizzazione delle idee, dalla scomparsa dei partiti e dal declino della politica, da tutto ciò che unisce in profondità gli animi”.
Gli elementi di questo cambiamento d’epoca sono tanti e profondi e risalgono sinteticamente all’espansione nel mondo del modello neoliberale capitalista anglosassone.
Gli interessi delle grandi multinazionali giocano un potere alternativo a quello della politica. I partiti hanno perso tutto d’un tratto la loro natura di corpi intermedi, cioè di associazioni che rappresentano comunità più ampie. In Italia, la cesura drammatica è avvenuta con Tangentopoli.
Non è un caso che papa Francesco, due giorni fa, nel richiamare il Ppe alla sua identità di partito popolare e cristiano, abbia sottolineato i due grandi principi di solidarietà e sussidiarietà e alla loro dinamica virtuosa.
Il depauperamento della cultura politica ha avuto come volto quello di uomini soli al comando di aziende-partiti che selezionano direttamente i candidati, sottraendoli alla preferenza degli elettori. I leader di queste nuove formazioni si legittimano “comprando” il consenso e offrendo facili illusioni. In questo trend vengono ripensati gli equilibri fra i tre poteri fondamentali dello Stato, con un indebolimento di quello legislativo, un rafforzamento dell’esecutivo affiancato al potere giudiziario, fino alla forzatura di leader che governano a prescindere dal confronto parlamentare. I tempi della politica sono diventati troppo lenti per il capitalismo neoliberista che, per ottenere i suoi obiettivi, predilige la “legge della giungla” con decisioni celeri e senza contraddittorio.
La democrazia, però, per poter esprimere il suo valore di governo che rispetta il pluralismo e le minoranze, ha bisogno delle sue analisi, delle sue valutazioni e quindi dei tempi necessari. La democrazia ha bisogno di cittadini che siano educati a riconoscere l’importanza del confronto e della fatica necessaria per acquisire capacità critica nel valutare la realtà e quindi responsabilità nelle scelte.
Luciano Violante, sempre sul numero di Nuova Atlantide in uscita, ricorda che “troppo spesso la banalizzazione supera la semplificazione. E troppo spesso viene usata per colpire l’emotività. Dobbiamo sfuggire alla trappola dello stupore suscitato da messaggi banali ed emotivi, e occuparci dello stupore generato dalla qualità delle cose. (…) Le democrazie hanno bisogno di cittadini democratici, non solo di leader democratici. Bisogna riabituarsi a incontrarsi, a vedersi e parlare di cose profonde, quelle che riguardano la radice della vita, dello stare insieme. Più moltiplichiamo questi sforzi, più cominciamo a creare le basi di un sistema, quelle in cui il senso del valore della democrazia cresce, e cresce anche l’allarme che la democrazia ci sfugga di mano”.
In 20 anni, infatti, il rapporto tra democrazie e non democrazie si è invertito e il 20% della popolazione mondiale che viveva in Paesi democratici, ora non ci vive più. Oggi il 60% della popolazione mondiale è guidata da Governi non democratici. La svolta neoliberista ha creato un mondo il cui protagonista è “l’uomo a metà”.
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