Cos’è la maturità?

Mercoledì migliaia di ragazzi di quinta superiore inizieranno il cosiddetto "esame di maturità". Ma cos'è la maturità? Siamo sicuri di saperlo?

Mercoledì migliaia di ragazzi di quinta superiore inizieranno il cosiddetto “esame di maturità”. Ma cos’è la maturità? Capiamo tutti che non si può ridurre o conquistare con un esame di qualche giorno, e allora cos’è?

Un testo della grande tradizione cristiana ci aiuta a cogliere il cuore della questione. “Siccome le mie immense aspirazioni erano per me un martirio, mi rivolsi alle lettere di san Paolo, per trovarmi finalmente una risposta. Gli occhi mi caddero per caso sui capitoli 12 e 13 della prima lettera ai Corinzi, e lessi nel primo che tutti non possono essere al tempo stesso apostoli, profeti e dottori e che la Chiesa si compone di varie membra e che l’occhio non può essere contemporaneamente la mano. Una risposta certo chiara, ma non tale da appagare i miei desideri e di darmi la pace. Continuai nella lettura e non mi perdetti d’animo. Trovai così una frase che mi diede sollievo: ‘Aspirate ai carismi più grandi. E io vi mostrerò una via migliore di tutte’ (1Cor 12,31). L’Apostolo infatti dichiara che anche i carismi migliori sono un nulla senza la carità, e che questa medesima carità è la via più perfetta che conduce con sicurezza a Dio. Avevo trovato finalmente la pace. Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi ritrovavo in nessuna delle membra che san Paolo aveva descritto, o meglio, volevo vedermi in tutte. La carità mi offrì il cardine della mia vocazione. Compresi che la Chiesa ha un corpo composto di varie membra, ma che in questo corpo non può mancare il membro necessario e più nobile. Compresi che la Chiesa ha un cuore, un cuore bruciato dall’amore. Capii che solo l’amore spinge all’azione le membra della Chiesa e che, spento questo amore, gli apostoli non avrebbero più annunziato il Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro sangue. Compresi e conobbi che l’amore abbraccia in sé tutte le vocazioni, che l’amore è tutto, che si estende a tutti i tempi e a tutti i luoghi, in una parola, che l’amore è eterno. Allora con somma gioia ed estasi dell’animo gridai: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione. La mia vocazione è l’amore. Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me lo hai dato tu, o mio Dio. Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore ed in tal modo sarò tutto e il mio desiderio si tradurrà in realtà” (Dall’Autobiografia di santa Teresa di Gesù Bambino (di Lisieux); Manuscrits autobiographiques, Lisieux 1957, pp.227-229).

È un testo di una profondità umana impressionante. Già l’incipit ci spiazza. “Siccome le mie immense aspirazioni erano per me un martirio”. Per quanti di noi si può parlare ancora di immense aspirazioni? Non ci siamo forse abituati al minimo, al volo a bassa quota, a scambiare l’umiltà con la scontatezza? Un invisibile freno a mano sembra essere stato tirato nella vita di molti. Santa Teresa, invece, paragona addirittura al martirio queste immense aspirazioni.

La prima riconquista da fare, per una vita matura, è quella del valore di sé. Abbiamo aspirazioni immense perché siamo un valore immenso. Appena saltiamo questo dato appare inesorabile lo smarrimento. Uno non sa più chi è e “per chi” è. Così, spesso, cerca di essere chiunque nascondendosi nella massa o, se scatta l’alleanza col narcisismo, arrampicandosi per sorpassare chiunque. Oppure cerca in tutti i modi di strapparsi di dosso queste aspirazioni. Troppo pesanti, troppo problematiche, troppo rischiose. Meglio una vita tranquilla, senza complicazioni. Meglio ancora se qualcuno gli dice cosa fare così evita di sbagliare.

Ma la realtà ci viene in soccorso. “Se quello che cerchiamo è Cristo oppure è il nostro amor proprio, è l’affermazione di noi, sotto qualunque flessione, secondo qualunque versante, lo si vede, viene a galla, nel momento esatto della prova e della difficoltà: quando non ci si vede più o quando non ci dà più gusto quello che facciamo” (Luigi Giussani, La lunga marcia della maturità).

Al sorgere di questa mancanza di gusto non possiamo più volgere la testa altrove. Il cuore desidera la pace, ma non è fatto per le mezze misure. Così si apre una strada, sulla quale si rischia di trovare poche persone: quella della tenerezza. Occorre una tenerezza verso se stessi per scoprire la portata della propria umanità. Come scrisse Giovanni Paolo II: “La tenerezza è l’arte di ‘sentire’ l’uomo tutto intero” (Amore e responsabilità, Marietti, Torino 1980, p. 150). Questo “sentire” consente di indagare fino al punto di lasciarsi sorprendere da ciò che Dio fa accadere davanti ai nostri occhi, esattamente come accadde a santa Teresa. La sua scoperta dell’amore prende piede nella sua vita perché trova in lei un desiderio infinito. È l’unica strada in grado di non ridurre le sue aspirazioni e, al tempo stesso, di non deviarle.

“Compresi che la Chiesa ha un cuore, un cuore bruciato dall’amore”. Il cuore della Chiesa è il cuore di Cristo. Non è possibile immaginare nulla di più bruciante d’amore per l’uomo, per ogni uomo. Non è possibile immaginare nulla di più esaltante il nostro umano. Nel cuore di Cristo troviamo veramente noi stessi, la verità di noi stessi, la nostra maturità. Solo l’irrompere nella vita di questo fuoco consente la scoperta di sé e del proprio posto nel mondo.

Cadono così, come inganni sfatati, le vecchie illusioni e fioriscono le vere domande: “Ma tu, dove sei, sei proposta? La tua vita è proposta? La fecondità che si avverte dentro la propria carne e il proprio spirito è data dalla percezione della propria persona come comunicazione, come proposta, con tutto ciò che c’è di vile, di miserabile, di contraddittorio, di impotente, di limitato, di banale, di effimero dentro il proprio essere; tutto questo non limita la coscienza di ciò che è stato dato e che costituisce il significato della vita” (Luigi Giussani, Viterbo 1977).

Scopriamo di aver trovato il nostro posto nel mondo quando vediamo che la nostra vita, così com’è, diventa proposta per tutti. Non perché qualcuno dice che lo debba diventare, ma perché lo diventa e basta, stupendo anzitutto noi stessi.

Ma chi sono io, con queste ambizioni immense, da aver conquistato il cuore di Cristo fino a farlo bruciare d’amore per me?

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