Chissenefrega se per il mondo io valgo meno di zero: saran sempre quelli senza valore a dare un prezzo. A darti un prezzo. E poco importerà se anche ai miei occhi io varrò meno di zero, o giù per lì: vita facendo si scopre che chi avrà bisogno di dimostrare il proprio valore non vale poi molto. A contare, per chi ha voglia di contare, è il valore agli occhi di Dio. Un valore così esorbitante che, nel suo registro con tutti i nomi e i cognomi, accanto al mio ha aggiunto: “Tu vali”. Il mio nome, se ci credo, è: “Marco Pozza tu-vali”. Per me: aggiunge Dio. Perché, a prescindere da cosa vada pensando il mondo di me, ci sarà sempre un Dio che mi apprezza per come sono, non per come avrei dovuto essere. Per come vorrebbe che io fossi. Io, per Lui, sono il valore della sua esistenza: tanto che, se un giorno mi perderò, non sarà solo la mia sconfitta, ma anche la sua. Il mio peccato, pare persino incredibile a dirsi, diventerà la sua tristezza: quella di non essere riuscito a farmi apprezzare la sua voglia matta di salvarmi (Amen).
Non c’è nulla di me che lasci il mio Dio insensibile. Per me, che sono il suo pensiero eterno, Dio ha fatto cose: “Non ciò che tu fai per Dio, ma riconoscere prima di tutto ciò che Dio fa per te sarà ciò che ti inizia alla salvezza”. Ricordate Nicodemo, quel tipetto “So tutto io, gli altri son tutti ignoranti” che s’è infilato nel buio della notte perché attratto dalla figura del Cristo? Gesù, quando lo incontra, non gli fa trovare il calendario degli appuntamenti – per la cresima, la sagra del folpo, la gita ad Assisi, il campeggio, un corso di aggiornamento per i catechisti provetti –, gli confida soltanto una cosa: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). Prima di tutto, Nicodemo, non dimenticare mai ciò che Dio ha fatto per te: poi, se vorrai, deciderai tu se far qualcosa o meno in nome suo.
Dunque se è vero ciò che scriveva Publilio Siro – che “ogni cosa vale il prezzo che il compratore è disposto a pagare per averla” – allora, pur non essendo una cosa, per Dio io valgo Cristo. Valgo tanto quanto il suo Figlio unico e benedetto. Nessuno, prima d’ora, m’aveva mai fatto un complimento simile: la mia autostima, all’annunciarsi di tale notizia, scoppia. Non c’è nulla di me che al mio Dio non importi, nemmeno un capello, visto che “perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati” (cfr Mt 10,26-33): nulla, nemmeno il superfluo di me, potrà lasciare il mio Dio indifferente. Tanto che, cadendo io, cadrà anche Lui: il mio dramma diventa il suo dramma, la mia miseria in un battibaleno diventa la sua miseria. D’ora in avanti, tutto ciò che sarà di me andrà a toccare anche la fisionomia di Dio: per sempre legati, io e Lui. Per sempre (in)dipedenti, per sempre contaminati.
Per sempre condannato a non piagnucolare più di me stesso: “Cambiami vita, Signore: questa vita mi fa schifo, non riesco più a portarla avanti. Se vuoi ti suggerisco io un’alternativa valida!” E, così facendo, non m’accorgo di prendere in giro Dio per i suoi gusti: io, per Lui, sono un sapore tutto particolare. Lui, per me, aspira ad un’altra prospettiva. Mi allena a ragionare diversamente, pur non nascondendo la fatica del vivere: “Signore, non ci capisco niente di questa mia vita, sono in piena confusione. Ma io mi fido di te: prometto che prendo sul serio ciò che mi sta capitando. Tu, se puoi, accendimi la luce: che io ci veda meglio”.
Per nessuno dei santi, nemmeno per la Madonna, fu tutto chiaro all’istante, ma la loro certezza d’esser nelle mani di Dio se da una parte non tolse loro nessun dubbio, dall’altra illuminò i loro dubbi alla luce dell’amore di Cristo. Una luce con più concentrazione di quella del sole stesso. Luce d’uno splendore mirabile.
Alla faccia del “sarò felice il giorno in cui realizzerò questo sogno” come diciamo: la vita, a volte, non ti dà la possibilità di realizzarlo. La felicità, sapendo quanto valgo per Dio, non sarà più aspettare che si realizzi il mio sogno migliore, ma imparare a scoprire che anche dentro la faccenda più snervante è nascosto un significato. Abita un Cristo che mi tiene la mano. Mi (man)tiene per mano.
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