“Elly in tuta blu”. Oeuh! Un titolo così attira subito chi, come me, è venuto su a pane, salesiani e classe operaia, con le ore canoniche del giorno lavorativo scandite dalle sirene delle fabbriche. Ma, cavoli: ho letto male, sarà la fretta, sarà l’età, o entrambe. Il titolo è in realtà “Elly tutta in blu” (e “Orietta Berti in fucsia”). In un mare arcobaleno. Roba da armocromisti, non da compagni lavoratori. E già, è il maxi-pride. Che poi il fucsia è un colore che al tempo degli operai non c’era neanche (andava molto il rosso allora) e il blu-Schlein è tutto diverso da quello delle tute applicate al tornio e alle catene di montaggio, ma anche applicate a guidare le bici dei rider o i camioncini delle consegne Amazon.

La sinistra non c’è più

Questa fotografia a colori ritrae egregiamente il punto di arrivo finale della parabola da partito comunista a partito radicale di massa. È una parabola storica i cui germi sono già nel Sessantotto. Esso conteneva una duplice dimensione e una duplice scopo: cambiare i costumi morali partendo dalla liberazione sessuale e cambiare il sistema economico partendo dalla lotta di classe contro il capitalismo. Questo secondo bersaglio è stato mancato, mentre si è centrato il primo, dal divorzio in poi. Un bersaglio però perseguito dallo stesso individualismo borghese che si diceva di voler combattere, e funzionale al nuovo potere, cioè alla ristrutturazione capitalistica, che come acutamente notava Pierpaolo Pasolini, “non sa che farsene della Chiesa” e della connessa morale tradizionale.

Ed ecco la Schlein che preferisce il maxi-pride di Milano al concertone in aiuto agli alluvionati della Romagna. Dimostrazione che ha ragione Bertinotti, nell’intervista al Corriere della Sera di tre giorni fa: “La sinistra? Non c’è più. La cultura della Schlein è quella dei liberal americani”.

La cultura liberal di massa

Dell’evento milanese, un’altra cosa colpisce: che erano in tanti. Gli organizzatori dicono 300mila, mentre delle stime della Questura non ho trovato traccia. Lo dico perché la piazza Duomo delle grandi manifestazioni sindacali con Lama, Carniti e Benvenuto era piena di centomila operai secondo gli organizzatori (che si basavano sull’effetto propaganda), di trentamila per la Questura (che più scientificamente si basava sui non opinabili metri quadrati della piazza e sul principio fisico dell’incomprimibilità dei corpi). Così che l’Unità titolava per centomila e noi dei giornali non di partito su un plausibile e un po’ ruffiano “quasi cinquantamila”. Stavolta hanno fatto tutti come l’Unità di quei tempi e hanno preso per buono il trecentomila degli organizzatori, tranne Avvenire che unico ha precisato che mancavano le stime delle forze dell’ordine.

Ma questa è una nota marginale che non cambia la sostanza: erano tanti. Verosimilmente per un complesso variegato di ragioni: per alcuni (credo una minoranza), per il fatto di essere coppie omogenitoriali, per altri per poter dar contro comunque al Governo Meloni, accettando implicitamente che la linea di demarcazione tra destra e sinistra, la scelta di campo non sia tra sfruttati e sfruttatori, ma tra liberal fautori dei diritti Lgbtqia+ (ecc.) e reazionari che vi si oppongono. Questo non solo in Italia ma in tutta tutta Europa, la quale sarebbe divisa – parola non a caso della Schlein – da questo “nuovo Muro di Berlino”. Sicché fascisti non sarebbero più gli alleati del grande capitale in funzione anticomunista, ma gli oppositori della cultura liberal propria del grande capitale, della Silicon Valley, di Hollywood, delle università Usa che determinano la cultura dominante, e via discorrendo.

Al di là comunque delle motivazioni immediatamente politiche (si è notata l’assenza del sindaco Sala), resta il fatto che il verbo radical borghese, la mentalità che equipara ogni desiderio personale a un diritto, è stata fatta penetrare sempre più nelle masse attraverso modelli ostentati e conclamati, e con i mille strumenti di persuasione di cui dispongono i poteri più rilevanti su scala mondiale. L’orgoglio liberal consente agevolmente di cantare “Bella ciao”, o anche “Rumore” di Raffaella Carrà, certo non “Bandiera rossa”. Evoluzione dei canti e degli slogan: da “Lo Stato borghese si abbatte non si cambia” a “Più limoni, meno Meloni”.

Attacchi alla destra. Perché non alla Chiesa?

Una terza cosa che stupisce è che gli attacchi sono stati tutti e solo alla destre politica e non alla Chiesa cattolica. Come mai?, viene da chiedersi. Sarà perché la Chiesa non è (più) reazionaria, perché è sentita comunque amica dell’uomo o perché è considerata irrilevante al punto da non essere nemmeno presa in considerazione? Testimoniare una fede che afferma la dignità assoluta dell’uomo e che, in quanto vissuta, non può non diventare cultura, è la strada. Non la semplice contrapposizione della legge naturale alla libertà dell’uomo. La natura per l’uomo di oggi è opera del caso e non veicola nessun significato e nessuna istanza etica. A meno che non si ridesti il senso religioso che gliela può far percepire quale essa è, cioè opera e segno di un Creatore.

Di conseguenza, senza nesso con l’Infinito la coscienza si riduce a ad autodeterminazione tendenzialmente indiscriminata; il corpo non rivela l’essere donatoci ma si degrada a un oggetto posseduto e disponibile, in fondo come una merce (anche scambiabile come ogni merce nel mercato globale); e un figlio diventa “producibile” anche senza relazione umana generativa, in forza della separazione teorizzata, e praticabile con la tecnica, tra sessualità e fecondità. La posizione religiosa è quella – l’unica – che afferma la piena dignità umana, tanto nella sfera della sessualità e della famiglia, quanto nella sfera della giustizia economica e sociale. Ma di tutto ciò non credo che nessuno – forse solo qualche mente pensosa – ormai si convinca solo per ragionamenti. Purtroppo. O per fortuna. È una lunga, lunga marcia. Se Dio vorrà. Certo non un “campo largo”.

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