Perfino il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha spostato la sua potenza di fuoco politico-mediatica dalla controffensiva militare (tuttora più annunciata che realizzata) alla ricostruzione del Paese: dopo un cessate il fuoco che – qualunque fisionomia assuma – si profila meno lontano. Soprattutto dopo il fake-golpe della brigata Wagner in Russia. Quando Usa e Ue stanno iniziando impegnativi anni elettorali. E allorché i banchieri centrali faticano a tenere sotto controllo inflazione e crescita con la leva dei tassi.
È su questo sfondo che la Recovery di un Paese martoriato da un anno e mezzo di aggressione russa presenta sicuri profili strategici: superiori a quelli – ormai codificati nei manuali di politica economica – classici della ricostruzione di una macroarea colpita da una catastrofe naturale. Il paragone scontato – già ampiamente utilizzato per il dossier ucraino – è certamente il Piano Marshall lanciato dagli Usa in Europa occidentale dopo la Seconda guerra mondiale. Un piano innestato sul New Deal rooseveltiano di contrasto alle grandi crisi degli anni ’30 del secolo scorso, il cui successo “keynesiano” fu completato dallo sforzo bellico. Un piano che – nella sua indubbia valenza geopolitica nell’incipiente Guerra Fredda – ebbe come piattaforma-leva l’Europa e come veicolo il trasferimento della civiltà tecnologica e imprenditoriale che aveva trasformato gli Stati Uniti nella nuova superpotenza globale.
In questo format, ottant’anni dopo, l’Ucraina sembra poter rientrare agevolmente: come caso esemplare, anzi, di un Paese non ancora del tutto “occidentale” nelle sue strutture politiche ed economiche, ma che – secondo i mantra del nuovo secolo – può aspirare a un ruolo che è già stato conquistato da Israele. L’arretratezza come “catapulta” è una categoria che – secondo alcuni storici – ha dato buona prova anche nell’Italia del primo boom giolittiano.
La ricostruzione ucraina, sulla carta, può contare su una condizione ulteriore, in prima battuta favorevole. La candidatura di Kiev all’ingresso nell’Ue – ancora in attesa di effettiva maturazione – si innesta nel Recovery Plan europeo in corso di attuazione. Il “Prr”, varato tre anni fa da Bruxelles per fronteggiare la pandemia, ha compiuto a sua volta l’evoluzione dell’originaria strategia NextGenerationEu: che dopo l’euro-voto del 2019 era stata posta a bussola dell’Europa in marcia “oltre Maastricht”.
Le due guidelines di lungo periodo – la transizione eco-energetica e quella digitale – sono state confermate nel Prr e nei Pnrr che ne fanno parte integrante e sembrano tutt’altro che lontane dalle logiche prevedibili di una Recovery Ucraina come laboratorio di un nuovo decollo industriale. È in quest’ottica che la ricostruzione ucraina sembra avere buone chances di essere una “terza scrittura” del Ngeu, cioè un un Prr rivisto alla luce degli impulsi di politica economica neokeynesiana dell’Amministrazione Biden. Un piano che appare ancora molto aperto nella scelta degli approdi e dei percorsi.
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