A Nicodemo, l’amico nottambulo ch’era andato da Lui di notte, Cristo glielo disse con parole semplicissime: “Sai, Nicodemo: tutti vorranno venire a salvarti, ma solo fino a dove si tocca”. Per aggiungere ad alta voce tutto il resto, quello che l’evangelista ha trascritto: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto”.
Poi, perché tutto ciò non sembrasse un’astrattezza calcò la mano fino quasi a esagerare: “Ma abbia la vita eterna”. Non soltanto, dunque, la non-perdizione ma addirittura la felicità eterna per tutti coloro che Gli daranno credito.
L’annuncio – più una confidenza tra innamorati che un semplice avviso parrocchiale – era già stato dato da Mosè migliaia di anni prima. Ad Israele che faceva un po’ troppi capricci, il condottiero aveva messo i punti sulle i: “Qual grande nazione ha la divinità così vicina a sé come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?” (Dt 4,7) La vicinanza di Dio, già allora, era considerata il tratto distintivo del popolo che Dio portava in cuore. Custodendolo con affetto d’un amante geloso al punto tale da mandare gambe all’aria tutti coloro che tentavano d’infangare quella storia.
Quando, poi, Dio nacque al mondo – facendosi chiamare Gesù – questa sua vicinanza divenne ancora più vicina, fino al punto da farsi accarezzare nella culla, toccare lungo le strade e nelle piazze, uccidere sulla croce. Ancora di più: fino a farsi mangiare e masticare dagli amici suoi trasformandosi in un Pane dal sapore tutto particolare. Un pane che diventerà la più bella forma di salvavita, a disposizione del mondo intero. Soprattutto di coloro che, per stenti o vergogna, temeranno d’essere rifiutati persino da Dio, dal Cielo a causa dei loro peccati. È per loro, come prima preferenza, che Dio manderà suo Figlio nel mondo. E non per forzare la mano anche Lui, facendoli soccombere sotto il peso del giudizio, ma “perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (cfr Gv 3,16-18).
Ognuno di noi, dentro sé, ha la tentazione di condannare tutto ciò che non capisce, e tutti coloro che non gli andranno a genio per chissà quale motivo: qualcuno disse che ci vuole meno sforzo mentale per condannare piuttosto che per pensare. Cristoddìo decise di sfidare il mondo a colpi di compassione: è lei, la compassione, a prendersi cura di te senza per forza condannarti. È questa – e rimarrà questa per tutti i secoli a venire –, la più bella sfumatura dell’amore: l’amore è quando tu salvi qualcuno, e non importa a quale prezzo tu lo salverai. Perché, com’è scritto nel Talmud, chi salva una vita, salva il mondo intero. Salvando, indirettamente, pure se stesso.
Occorrerà credere in Cristo per salvarsi, di certo. Cristo, però, ha riservato a se stesso il potere di presentarsi alle anime col vestito che vorrà, con i tempi che Lui vorrà, nei modi che per Lui saranno più consoni per riuscire fare centro sulle anime inquiete e lontane.
Facendosi uomo, ha mostrato di saperci fare nel giocare a nascondino: siccome gli uomini possono salvarsi soltanto fra di loro, a Betlemme Dio si fa uomo, senza per questo perdere il suo tratto divino. Uomo a tutti gli effetti, con l’aggiunta d’essere l’uomo che tutti avrebbero potuto diventar se quel maiale del demonio non avesse sporcato di letame la bella stanza della sua umanità.
Nessuna paura, comunque: Dio è un sarto, è capace di ricucire, la sua passione sono i ritocchi, le cuciture, i rammendi. Questo, e non le presenze segnate sui registri delle sacristie, sarà la cartina di tornasole del cristiano: “Se pensate che Gesù sia Dio e che sia morto in croce per la salvezza degli uomini secondo me siete cristiani – scrisse André Malraux –. Ma se non lo pensate, allora non siete cristiani”.
Il cristianesimo, alla fine del conteggio, è tutto qui, nel non-detto confidato al nottambulo Nicodemo: “Sai, Nicodemo, Cristo non verrà a salvarti soltanto fino a dove si tocca (così fan tutti!) Cristo, per te, darà la vita”. Parole che, per chi ha peccato, appaiono ancora oggi come degli incantesimi.
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