La manifestazione della Cgil sui tagli della sanità del 26 giugno ha rimesso al centro del dibattito politico e sociale il tema della salute. Il Segretario della Cgil, Maurizio Landini, nel chiedere il rilancio del Servizio sanitario nazionale ha tra l’altro dichiarato: “Basta tagli alla sanità. Ci sono 4 milioni di persone che non si curano perché non hanno i soldi. Non è accettabile. La situazione sta esplodendo”. Ha ragione?

In Lombardia, già da prima della pandemia, per ottenere un esame nella sanità pubblica si doveva aspettare anche un anno. Con l’emergenza Covid si sono accumulati un numero enorme di esami. Chi ha potuto si è rivolto alla sanità privata, gli altri sono finiti in coda, oppure hanno addirittura rinunciato. L’Istat stima che questi ultimi, su tutto il territorio nazionale, siano circa 2,5 milioni. Peggio ancora è la situazione dei Pronti soccorso, dove il tempo di attesa può arrivare anche a più di 24 ore.

Un reportage curato da Sara Strippoli su Repubblica del 16 giugno rileva che in Toscana (seconda nel ranking Lea) ci vuole in media un anno e mezzo per fare una cataratta; in Liguria la permanenza in barella dei pazienti in Pronto soccorso può arrivare a cinque giorni; nel Lazio la carenza delle ambulanze rende lentissimo il servizio di emergenza; a Catania, nonostante i turni siano aumentati, non si riesce a tener testa alle richieste dei pazienti. Risulta interessante come quadro sintetico l’indagine basata su 13.748 segnalazioni raccolte nel 2021 dall’associazione “Cittadinanzattiva” sul tema del tempo massimo di attesa per esami, visite e interventi: per una mammografia si prevedono 720 giorni, una tac 465, un’ecografia 375, un intervento cardiologico 365.

Sappiamo che la pandemia ha fatto da detonatore di una situazione già critica, in cui si sarebbe dovuto pensare, per tempo, alla sostituzione di medici e infermieri che andavano in pensione, all’adeguamento dei loro salari, alla revisione del numero chiuso alla facoltà di medicina, a una diversa organizzazione delle cure ospedaliere e sul territorio. In una parola, sulla sanità è mancato un pensiero di prospettiva, che il tema della spesa conferma in modo chiaro.

Il professor Luigi Campiglio scrive sul Sussidiario del 14 marzo 2020: “Utilizzando i dati pubblici di Eurostat è possibile stimare che fra il 2009 e il 2018 la spesa monetaria per gli ospedali in Italia è diminuita del 5% mentre in Germania è aumentata del 37%, in Austria del 42% e in Svezia del 44%”.

In termini di valori reali la contrazione della spesa per gli ospedali in Italia “è stata pari al -22%, considerando i prezzi dei servizi alla salute”. In termini di spesa pubblica per la sanità nel suo complesso la caduta è stata “del 13% rispetto a un aumento del 25% in Germania e negli altri Paesi”. In termini percentuali, poi, “la spesa per la sanità è diminuita dal 7,4% del Pil nel 1999 al 6,8% nel 2018, mentre supera l’8% in Francia e Austria”.

Dello stesso parere è Carlo Bonini, coordinatore editoriale del tema salute di Repubblica. Citando numerose fonti (Ufficio studi della Camera, relazione sulla spesa sanitaria dell’Osservatorio conti pubblici dell’Università cattolica, Oecd Health Data), in un articolo del 5 febbraio scorso, documenta una tendenza continua alla riduzione della spesa sanitaria con tutti i governi dal 2008 a oggi, giungendo perciò a dire: “I soldi pubblici in sanità non bastano. E soprattutto non basteranno nei prossimi anni. E se nel 2021 la spesa pubblica è arrivata al 7,3% del Prodotto interno lordo, il Governo Meloni ha stimato una riduzione, fino a scendere nel 2025 al 6,1%”.

Mario Del Vecchio, direttore dell’osservatorio sui Consumi privati in Sanità della SDA Bocconi, sempre citato da Bonini sottolinea che “la popolazione invecchierà e inoltre ci saranno innovazioni tecnologiche e farmacologiche. Ci sarà bisogno di più denaro per la sanità” che necessita una crescita della spesa sanitaria di 1-1,5 punti di Pil, cioè tra i 18 e i 25 miliardi. Invece si osserva una carenza di medici, infermieri (ne mancherebbero circa 10.000 in tutta Italia), strutture sanitarie che genera il collasso sopra descritto.

I problemi del Ssn da affrontare, oltre a quelli citati, sono tanti e riguardano la scelta di un modello di governance tra Stato e Regioni, tra pubblico e provato; riguardano la formazione degli operatori sanitari e, non ultimo, la disuguaglianza di accesso alle cure.

Ma già quanto scritto mostra che senza accorgercene stiamo mettendo in discussione il diritto alla salute sancito dalla Costituzione e fondamento della possibilità di una società che rispetti tutte le persone: ogni vita ha uguale valore. Vogliamo perdere questo connotato delle società europee che le rende uniche in un panorama mondiale in cui classe sociale, ricchezza, etnia, convinzioni religiose e politiche sono fattori delle più grandi disuguaglianze?

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