La maledetta voglia di vivere solo il presente che avvolge la mente di ciascuno è forse uno dei sintomi più ignorati della profonda trasformazione della società moderna. Ripetiamo come un mantra a noi stessi che conta solo quello che fai e hai oggi. Il passato non esiste, il futuro neppure, e quindi conta solo quello che in questo momento stiamo sperimentando. Una ricerca di infinite sequenze di “qui ed ora” che paiono slegate da ogni passato e non responsabili di ogni futuro.
Ogni comportamento individuale o collettivo che non sia una massimizzazione della nostra felicità attuale ci appare una ingiusta costrizione, una sleale compressione di ciò che meritiamo. Accantonata ogni riconoscenza per quelli che ci hanno preceduto, e che con sacrificio hanno tirato su il Paese, abbiamo finito per dimenticarci di chi verrà dopo di noi e di noi stessi per quel che saremo tra qualche anno.
E così quando accade qualcosa che turba il nostro momento attuale ne siamo a tal punto scossi da non riconoscere più il rapporto di causa-effetto. Siamo tornati quasi ai tempi degli dei pagani a cui addebitare ogni cosa infausta. Se piove tanto, è colpa della natura maligna, se c’è siccità anche, se crollano case e ponti sotto le piene dei fiumi torrentizi a breve andremo a sacrificare un caprone a Giove Pluvio.
Eppure non siamo sempre stati così. L’idea di un “futuro migliore” ha guidato i padri contadini a piantare ulivi e vigne che sarebbero fiorite dopo la loro morte, ha portato artigiani e imprenditori a risparmiare per ingrandire le loro iniziative per i figli, ha portato i proletari a spaccarsi la schiena per dare ai figli il tempo di studiare. Facendo miracoli veri da dedicare a chi sarebbe venuto dopo.
Ora invece, mentre le acque ancora stagnano in Romagna, le spiagge si riempiono e siamo pronti ad abbandonare il passato per goderci qualche ora al sole, senza pensare a ciò che è stato e a cosa si deve fare per evitare che ricapiti. È sempre stato così negli ultimi decenni. A Ischia pochi mesi fa con la frana di Casamicciola, con le alluvioni nel Basso Lazio dell’autunno, e negli anni prima con l’acqua che ha sommerso i campeggi in Calabria o ha messo Genova in ginocchio. Tutte lezioni superate senza che vi fosse un’idea di futuro in cui quegli eventi non avrebbero dovuto produrre i disastri che il clima impazzito produce.
Si badi che non interessa, per questo ragionamento, comprendere se tutto ciò sia causa dell’uso degli idrocarburi che ha reso il meteo folle, se siano le esplosioni solari a cambiare il clima o se siamo in periodo di normale irregolarità dei fenomeni atmosferici. Sappiamo solo che qualcosa, da diversi decenni, è cambiato eppure non siamo come comunità in grado di percepire questa circostanza, che coinvolge tutto il Paese, come un’esigenza di agire per evitare che il futuro sia identico al passato. Siamo talmente assuefatti al presente come unico momento del tempo che conta da non voler impiegare neppure un momento a sacrificare qualcosa per il futuro.
La politica ha ben compreso la lezione, sa che proporre un risparmio fiscale minimo ma immediato conta di più che spendere a tasse invariate per costruire infrastrutture per chi verrà dopo. Così, annuncia piani straordinari, istituisce task force, per poi rimodulare la spesa dopo qualche mese e destinare i fondi a tagliare qualche punto di accise. Neppure il Pnrr pare abbia cambiato questa logica e sempre più si spinge per dedicare quei fondi alla spesa corrente (l’oggi) piuttosto che alle infrastrutture materiali ed immateriali (il domani). Con questa logica il consenso arriva in fretta. Meglio l’uovo oggi che la gallina domani. Peccato che a furia di mangiare uova ci ritroveremo il pollaio vuoto, ma pieno di fango, senza neppure più la speranza di poterci accontentare di un frittatina.
Insomma, se è vero che ci interessa solo quello che abbiamo oggi dobbiamo ricordarci che la relazione tra passato e futuro è indissolubile, un movimento che segue una direzione e che porta a certe conseguenze in virtù delle scelte che abbiamo operato.
È per questo che il fango e le lacrime di Romagna, di Ischia, di Genova, della Toscana, della Calabria dovrebbero essere un momento di svolta collettiva per deciderci a definire noi stessi rispetto alla nostra capacità di creare un futuro in cui l’acqua che cade da cielo in modo ormai incontrollabile si possa almeno in parte governare. Investendo in opere di ingegneria idraulica, mitigando in ogni caso l’impatto antropico sul clima, spendendo bene e presto i fondi. La sensazione è che torneremo tutti, Governo ed amministrati, a preoccuparci di qualche beneficio a breve da ottenere (e da promettere) piuttosto che agire in modo responsabile per garantire un’idea di futuro collettiva migliore del presente. E quando accadrà di nuovo, da qualche altra parte, che il fango e l’acqua copriranno case e aziende potremo consolarci con i selfie sorridenti presi in spiaggia. In quel momento c’era il sorriso finto di chi sa che deve apparire felice per un istante. Il resto non conta, così ci illudiamo, assuefatti a pensare solo ad oggi, senza memoria e senza un futuro.
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