Alessandro Solipaca e Walter Ricciardi con il volume “Il Servizio Sanitario Nazionale. Performance ed equità dopo decentramento, autonomia e sussidiarietà” appena pubblicato da Vita e Pensiero, valutano la politica sanitaria nazionale giungendo alla conclusione “Il principio di sussidiarietà non ha prodotto i risultati attesi”. Hanno ragione? Ci si consenta di avanzare alcuni rilievi critici.

La maggiore ambiguità sta nel titolo. Con sussidiarietà si intendono due concetti ben differenti. La sussidiarietà verticale consiste nel lasciare che realtà pubbliche di livello inferiore abbiano in prima battuta responsabilità politiche e amministrative. È il caso dell’Unione europea che prevede rispetto a numerose materie una sussidiarietà verticale a favore degli Stati; è il caso della riforma costituzionale del 2001 rispetto al Titolo V che prevede responsabilità esclusiva o concorrente delle Regioni rispetto allo Stato. È il caso della Sanità. Altra cosa è la sussidiarietà orizzontale, secondo cui per erogare servizi l’ente pubblico può permettere la collaborazione sancita da apposite convenzioni di privato e privato non profit come è avvenuto in Lombardia con la legge 31 del 1997.

Il libro si occupa del primo argomento e dovrebbe quindi aggiungere l’aggettivo verticale per non risuonare confuso e fuorviante perché non analizza regioni che hanno scelto la sussidiarietà orizzontale in sanità contro quelle che non l’hanno scelta. È lo stesso equivoco che appare sovente nell’attuale discussione sull’autonomia differenziata fatta passare spesso come un modo per avvicinare le scelte ai cittadini mentre potrebbe essere solo un modo per sostituire a un centralismo pubblico nazionale un centralismo regionale.

Chiarita questa fondamentale distinzione, per ciò che concerne il tema del risultato negativo della modifica del Titolo V vi sono da fare due rilievi critici e una considerazione. La modifica del Titolo V è avvenuta, come detto, nel 2001, creando così una cesura temporale rilevante: per essere esaustivo lo studio dovrebbe analizzare le differenze intercorse prima e dopo tale data, mentre si limita a prendere in esame solo dati successivi alla modifica. Ma se è così, come si fa a essere sicuri che quello che si vede solo dopo la modifica sia effettivamente un effetto dovuto alla modifica stessa se non si conosce come era la situazione prima?

In seconda battuta, i dati del lavoro evidenziano come la variabilità degli esiti entro regione (anche quando l’amministrazione politica che ha governato non è cambiata nel tempo) spesso è più ampia della variabilità tra regioni. Occorrerebbe quindi esplicitare le ragioni di questo risultato che non può certo essere attribuito al Titolo V.

Poste queste osservazioni vi sono molti dati che confermano la tesi. Vi è la permanenza di dati clinici molto differenti fra regione e regione, come ad esempio il tasso di mortalità per tumore tra gli adulti: la Campania e la Sicilia registrano prevalenze più elevate della media italiana, rispettivamente +16% e +4%, con trend in aumento, soprattutto in Sicilia. Oppure la situazione della spesa che mostra regioni virtuose e regioni che non riescono a uscire dal commissariamento. E ancora le fisiologiche migrazioni che attestano un divario qualitativo che cresce tra regione e regione. Se il Titolo V ha permesso una totale libertà con conseguenze diversissime nei territori è giusto dare un responso negativo. Ma l’alternativa è un ritorno al centralismo tout court con i problemi che potrebbe comportare e che ha sempre comportato? Oppure, come ha dimostrato la recente pandemia, occorre fare un salto che permetta di superare continui e stucchevoli tira e molla?

Non bastano leggi più o meno centraliste o regionaliste, né l’Agenas, né la Conferenza Stato Regioni: per governare la sanità servono organismi che permettano un continuo dialogo, scambio di informazioni e decisioni autorevoli. Serve un Senato delle regioni simile al Bundestag dove tutte le autonomie, regionali, locali e di altro genere, possano confrontarsi per il bene comune decidendo in continua evoluzione cosa deve competere allo Stato e cosa agli enti locali.

Un’ultima battuta riguarda la sussidiarietà orizzontale e ogni altra impostazione dei sistemi sanitari non affrontati in questo libro. Servono studi che confrontino i diversi approcci rispetto ai profili regionali di spesa individuati dagli autori (Gestione diretta, Farmaceutica convenzionata, Medicina generale, Specialistica convenzionata, Ospedaliera convenzionata, Riabilitativa convenzionata, Spesa Out of pocket). Quali gli effetti differenziali attesi al netto di altri fattori? Con questi metodi l’analisi della sussidiarietà sarà veramente più completa.

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