Ammetto di non aver mai fatto caso che nei Promessi sposi, libro letto e riletto, latitasse la figura del padre. In realtà ce n’è uno, sul quale si sarebbe tentati di stendere un velo: è il padre di Marianna de Leyva, che per calcoli di successione aveva relegato la figlia al destino del convento. Del padre di Renzo non sappiamo nulla e neppure di quello di Lucia, del cui ambito famigliare Manzoni qualcosa pur ci dice. I promessi sposi davvero non si finisce mai di leggerli. Se aveste il grande romanzo ben chiaro nella testa, il consiglio è di affrontare il nuovo (magnifico) libro nel quale Luca Doninelli raccoglie le riflessioni maturate nelle sue lunghe navigazioni tra le pagine del romanzo (La colpa di essere nati. Scritti sui Promessi sposi). Più che un consiglio è una sfida: perché Doninelli ci guida dentro tutti i “movimenti tellurici” di quel grande testo, che come ogni testo davvero grande è un testo vivo, nel senso concreto della parola.
Doninelli in questa sua navigazione sceglie di affrontare i personaggi, scoperchiandoli senza timori per capirne meglio la loro verità profonda. Il personaggio sul quale in particolare lavora di scavo è quello più riservato, più restio a prestarsi a questa operazione, Lucia. Eppure è lei il personaggio chiave, “improbabile ma splendido” che Manzoni vede “sorgere” tra le sue mani. “Non c’è dubbio che la comparsa sulla scena di Lucia costituisca un momento fondativo”, ci avverte Doninelli. Lo scrittore la pone subito su un altro piano, come se nel romanzo avesse un posto a parte. La fa comparire vestita da sposa “tutta attillata dalle mani della madre”: le parole di Manzoni la sfiorano senza mai definirla davvero, come se il suo carattere fosse definito da quella foggia con cui si presenta. Ci dice che la sua è una “modesta bellezza”; e poi scopriamo a fine romanzo che per i più è invece brutta, e che una così non valeva tutta la fatica messa in campo da Renzo. Per questo su di lei si sono appuntate le critiche dei professori e poi anche le riserve dei lettori, che ne vedono un personaggio rigido o, come scrive Doninelli, una “madonnina infilzata”.
Invece è proprio lei la chiave di volta del romanzo, il personaggio nel quale i protagonisti si specchiano trovando per vie diverse una soluzione di luce (è il suo nome forse non è casuale). Accade all’Innominato. Ma accade anche alla Monaca, che con Lucia intesse “un dialogo segreto e profondo che Manzoni annuncia obliquamente”, attraverso non casuali parallelismi: tutt’e due arrossiscono, tutt’e due hanno occhi e capelli neri, tutt’e due sono, per diversi motivi, senza un padre. Ma Lucia è l’imprevisto senza il quale è impossibile sfuggire alla reiterazione del male: l’Innominato lo accoglie; la Monaca vede e capisce ma non riesce ad affidarsi a quell’imprevisto. Non c’è da lapidarla manicheisticamente per questo. Come scrive Doninelli, “il pudore che Lucia porta nel mondo è così denso da non poter essere retto a lungo dai nostri occhi corrotti dalla Storia”.
Ci siamo soffermati su Lucia, ma questo libro si allarga a tanti altri protagonisti del romanzo terremotando gli stereotipi che li hanno banalizzati, per via di decenni di letture indolenti, bigotte o ideologiche che fossero. Invece I promessi sposi sono tutta un’altra cosa: romanzo aperto, inquieto, che non ammette semplificazioni o navigazioni a vista. E che ci conduce per strade impreviste a intercettare “il bagliore di un inconcepibile bene”.
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