La schermitrice ucraina e il vero vincitore

Il caso della schermitrice ucraina Olga Kharlan è stato vissuto e visto unicamente con occhi politici. Serve una logica diversa, quella della profezia

Quella che segue non è propriamente la notiziona del giorno. Tuttavia ci offre uno spunto interessante. Dunque: oggi 31 luglio 2023, il consigliere Stefano Cavedagna, capogruppo di Fratelli d’Italia nel consiglio comunale di Bologna, presenta un ordine del giorno in cui propone di assegnare la cittadinanza onoraria alla schermitrice ucraina Olga Kharlan. Il motivo addotto? “Bologna è diventata la sua città adottiva”. Il che è vero: la campionessa vive e si allena nella città felsinea dal febbraio 2022, con il fidanzato italiano che le ha fatto lasciare l’Ucraina invasa dai russi. In realtà il motivo vero è un altro: la Kharlan è balzata agli onori delle cronache per non aver stretto la mano dell’avversaria russa Anna Smirnova dopo averla sconfitta in pedana.

Olga è stata tragicomicamente prima squalificata e poi riammessa dalle “autorità” sportive. Curiosamente la maggior parte delle discussioni ha riguardato proprio la tragicommedia, cioè la legittimità o meno del gesto ai sensi del regolamento, il che francamente è assai poco appassionante, anche considerato che in queste faccende c’è sempre un cavillo che serve all’interesse più forte per affermare la sua decisione. Cosa che è puntualmente e palesemente successa nel nostro caso. Assai poco convincenti appaiono anche i richiami ai “valori” dello sport come luogo di tregua olimpica grazie alla sublimazione dei conflitti: scenario buono per le favole, non per la realtà.

Comunque, alla fine dei conti risulta evidente che il 99 per cento dei commentatori sta con l’ucraina contro la russa, cioè con l’aggredito contro l’aggressore, con la vittima contro il carnefice. Dare ragione a chi ha ragione, e torto a chi ha torto: come non assentire? E figuriamoci poi se non si può comprendere l’amarezza e la volontà di marcare la distanza da parte di una ragazza che ha la sua famiglia, i suoi amici, la sua gente innocente sotto le bombe. Sicché, appunto, diamo ragione a chi ha ragione e torto a chi ha torto. E poi? Beh, intanto noi ci siamo messi dalla parte della ragione e siamo a posto, sui nostri divani e i nostri social e loro… loro speriamo che vincano, comunque prima o poi finirà. Per fare la pace bisogna che uno vinca e l’altro perda (o perdano entrambi). Non si è mai visto nella storia un caso diverso.

Dunque fuori da questa logica c’è solo l’utopia? No. Possiamo incominciare a considerare un’altra logica se per esempio ci facciamo tornare in mente la Via Crucis al Colosseo del 2022, con Irina e Albina, l’infermiera ucraina e la studentessa russa, a portare la croce e pregare. Proprio nella tredicesima stazione: Gesù deposto dalla croce. È il momento che ha ispirato tante straordinarie “Pietà”, basti pensare a quelle di Michelangelo. Il gesto di Irina e Albina, voluto dal Papa, dice di una comune umanità che non può essere negata a nessuno, neppure a chi si trova dalla parte del carnefice. Non è utopia, questa, ma profezia. È l’unica barriera, possibile ora, al veleno dell’odio che quando penetra nel sentire e nell’ethos dei popoli distrugge il presente e il futuro. Viceversa il riconoscimento di una comune umanità (che non è affatto confondere vittima e aggressore), di un cuore che a tutti è dato, è l’unica possibilità di uscita dal vicolo cieco della guerra e della distruzione.

Ogni brandello di testimonianza di questo è preziosissima, ed andrebbe guardata più di ogni altra cosa. Del resto che si tratti di profezia e non di utopia lo prova la storia del dissenso nei Paesi dell’Est sotto i regimi comunisti: storia di testimoni amanti del vero, del bello e del giusto, che ha permesso transizioni non violente e non vendicative.

Come nelle Pietà, l’abbraccio a Cristo è storicamente l’affermazione più forte e sicura del valore dell’umano. “Non c’è più giudeo né greco…” (san Paolo). Da questo punto di vista non sembra buona cosa la decisione di Zelensky di spostare la data del Natale ortodosso dal 7 gennaio al 25 dicembre. Decisione presa per ragioni politiche, divisive, in polemica con la Chiesa ortodossa di Mosca. Intendiamoci: se tutti i cristiani arrivassero a celebrare il Natale nello stesso giorno, sarebbe bello. Ma come esito di un processo di dialogo e di amore all’unità in Cristo. Come polemica divisiva e tutta politica, invece, finisce per ridurre la fede religiosa a una realtà subordinata alla nazione. E questo è analogo e speculare al comportamento della coppia Putin-Kirill, patriarca di Mosca.

Nella parte finale del suo bel libro La pace russa. La teologia politica di Putin, uscito quest’anno, Adriano Dell’Asta riporta un appunto di Semen Frank, grande esponente della filosofia religiosa russa. Era il 1942 e Frank era braccato dai sovietici come nemico incorreggibile e dai nazisti in quanto ebreo (ancorché convertito al cristianesimo). Annotò Frank: “In questa terribile guerra, in questo caos disumano che ormai regna nel nostro mondo, il vincitore, alla fine dei conti, sarà quello che comincerà a perdonare per primo”.

A queste parole, chissà Olga Kharlan come reagirebbe?

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