Tre sentenze della Corte Suprema statunitense hanno colpito duro, negli ultimi giorni di giugno, i Democratici al potere all’inizio della campagna elettorale per le presidenziali 2024. Sui media internazionali hanno avuto risalto soprattutto le due di maggior profilo sociale: il diritto riconosciuto a un webdesigner di non accettare una commessa da parte di un’organizzazione Lgbtq+; e una pronuncia a parziale sfavore delle regole più rigide che garantiscono l’accesso di appartenenti a minoranze tutelate alle grandi università, standard che da anni temperano l’esclusività “yankee” del principio del merito.
Una terza sentenza – votata 6-3 dall’attuale maggioranza conservatrice dei nove “justice” di Washington – ha avuto sempre l’università per oggetto, ma su un terreno più strettamente politico-economico. La Corte Suprema ha infatti giudicato non costituzionale l’ipotesi di utilizzo del cosiddetto “Heroes Act” (varato dopo l’11 settembre 2001) come veicolo del progetto di cancellazione di una parte dei 430 miliardi di dollari di debiti universitari accumulati da oltre 40 milioni ai americani.
Si tratta di una delle principali promesse elettorali del Presidente Joe Biden nella campagna 2020. Ma, così come per il raddoppio generalizzato del salario minimo a 15 dollari, l’impegno è’ tuttora irrealizzato. Fin dapprincipio l’idea di un maxi-regalo federale ha suscitato dubbi “costituzionali” sul rispetto di un’effettiva equità sociale: anche all’interno della stessa platea dei potenziali beneficiari, composta da studenti più o meno egualmente indebitati ma in condizioni spesso molto diverse di reddito/patrimonio all’ingresso nell’università e all’uscita nel mondo del lavoro.
Non è però sfuggito agli osservatori un segnale politico-economico più ampio e incisivo. A Washington non si sono ancora spenti gli echi della dura battaglia condotta dall’Amministrazione Biden al Congresso per ottenere un’eccezionale facoltà di sfondamento del tetto all’indebitamento federale. Uno degli argomenti polemici usati nel dai Repubblicani (oggi in maggioranza alla Camera) è stata la costituzionalità del passo: che è stato infine concesso alla Casa Bianca all’interno di una griglia di vincoli.
La sostanza politico-finanziaria della questione è comunque evidente. Da un lato, la lunga emergenza (pandemia e poi “nuova Guerra fredda”) sta mettendo a dura prova anche i fondamentali economici-finanziari della più avanzata economia del pianeta. Dall’altro, in una democrazia elettorale occidentale – è ancora una volta gli Usa sono la prima al mondo – è strutturale il rischio che un’azione di governo finanziata con entrate fiscali o debito possa rispondere nei fatti a puri fini di consenso.
La Corte Suprema – certamente attirandosi ennesime accuse di non essere completamente immune dall’interventismo politico a favore dei Repubblicani – è parsa affermare su un caso concreto ma esemplare, in tempo ultra-reale, un “parametro” non dissimile da quelli che l’Ue sta faticosamente ripristinando. E i problemi di quadratura fra spese d’emergenza, vincoli di sana e prudente gestione finanziaria pubblica e scadenze di democrazia elettorale sono gli stessi sulle due sponde dell’Atlantico.
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