E meno male che Pietro era a casa sua quella notte: non tanto una casa di pietre, porte e corrimano ma la sua casa fatta d’acqua, di pesci e di reti. Giusto in mezzo al mare e il mare aperto, per un pescatore, è il salotto nel quale riceve gli amici più intimi. Da parte sua Cristo sta sulla montagna. Se n’è andato lassù “dopo che la folla ebbe mangiato”: come una buona madre che si ricava tempo per sé senza sottrarne la minima percentuale alle incombenze della famiglia.

La montagna e la preghiera, assieme con le sue amicizie, sono la sua vacanza più segreta qui in terra. Lui sulla cima della montagna, loro (gli amici pescatori) nel salotto del mare aperto, dove “la barca era agitata dalle onde”. Non soltanto la barca era agitata: agitati erano anche i pescatori che stavano sulla barca. Stare a guardarli da lontano, pareva proprio che tra quei due – il Maestro e i discepoli – fosse in corso un gran fraintendimento: loro Gli avevano chiesto una vita agiata, Lui non aveva risparmiato loro la vita agitata.

Una questione di vocali? Tutt’altro: per loro ch’erano abituati a remare, fare i conti con le paure che tremano contro è un inedito che li spaventa. Lui, da lassù, li guarda perché loro lo (ri)guardano, sono amici suoi: “Guardali – pensò pregando –, son tutti lì a dirsi: Niente paura, andrà tutto bene, amici! E non s’accorgono che nulla li agita più di quelle parole dette al vento”. Ancora una volta, riprende in mano Lui la situazione: “Sul finire delle notte egli andò verso di loro camminando sul mare”. Ancora Lui, è sempre la stessa sensazione: quando la codina del cane si agita, più che terrore è una delle più belle prove dell’esistenza dell’amore. Del fatto che tu gli sei mancato.

S’infila, sgomitando, tra le onde del lago e le paure degli amici: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”. Hanno così tanti fantasmi nel loro cuore che pure l’Amico lo confondono per un fantasma: “È un fantasma!”. Solita storia, quella che ognuno vede ciò che ha nel cuore. Lui, invece, nel cuore ha ancora loro. E invece di dire loro, da lontano, “Niente paura, andrà tutto bene, ragazzi!” porge la mano a uno di loro, a nome di tutti: “Vieni (Pietro)”.

Invece che imbufalirsi per l’ennesima mancanza di fiducia, intravede nelle loro paure la situazione migliore per sbizzarrirsi: fare entrare qualcuno nelle proprie paure, in fin dei conti, è una cosa molto più intima che portarselo a letto. Non diede loro una caramella: con le caramelle si mettono calmi i bambini. Diede loro se stesso: era l’unico modo per rendere mansueta l’agitazione degli amici. Andò piano, lasciando che Pietro stesso rischiasse di annegare nella sua faciloneria di credere: “Con Pietro e gli altri amici miei bisogna andare piano – avrà reagito Cristo a chi gli suggeriva di mandar in malora quegli amici ingrati e ignoranti come me –: le persone migliori si raccontano una paura alla volta”. Anche se la paura è la stessa, ripetuta tante volte: “Signore, salvami!”. Poche, tra le esternazioni del grande pescatore, sono in grado di battere questa in quanto a dichiarazione d’amore: dire liberamente a qualcuno che gli sei mancato e che senza di lui sei perduto, ha un che di magia.

Se l’aspettava: “Subito Gesù tese la mano, lo afferrò”. È la solita maniera di agire di Gesù: prima ti salva, poi ti corregge: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?” (cfr Mt 14,22-33). Fu così che Pietro e compagnia bella s’accorsero del motivo per cui da qualche giorno non riuscivano più a sognare: avevano lasciato troppo spazio alle loro paure, togliendo spazio alla loro fede. Poi, abbracciandoselo, gli avrà spiegato, a quel genio di pescatore terrorizzato dall’acqua (che ridere!), che non esistono persone senza paura: esistono solo attimi senza paura. E che non c’è paura più grande di quella che alberga nella nostra immaginazione più che nelle nostre disavventure: “Il vento cessò”.

E Cristo chiuse il discorso dicendo loro: “Alimentate la vostra fede, amici miei, e le vostre paure moriranno di fame”. Non scompariranno le bufere: “Ricordati sempre che i mostri non muoiono. Quello che muore è la paura che t’incutono” (C. Pavese). Paure che fanno parte integrante della fede.

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