Niente come Ferragosto ha il potere di fermare, anche se per pochi giorni, lo scorrere del tempo. Gli uffici sono quasi deserti, il clamore delle città è ormai sedato dalla canicola della stagione e perfino le strade sembrano lasciare spazio al silenzio di chi è partito e di chi invece, anche se rimasto, non ha alcuna intenzione di fare propri gli spazi arroventati del vivere comune.
Tutto si astiene, in questo squarcio d’estate che nel 15 di agosto vede il culmine e intuisce il capolinea. Tutto un po’ tace, tutto un po’ si riempie dei bisbigli di chi ritrova spazi e tempi per rigenerarsi, tutto un po’ è invaso dal clamore della giovinezza che cerca risate, avventure o straordinarie scoperte di felicità.
Eppure sbaglierebbe chi in questi giorni guardasse agli uomini come si guarda ai continenti sulla cartina geografica: uno accanto all’altro, uno – in fondo – uguale all’altro. Gli uomini differiscono sempre in qualcosa, per lo più differiscono nell’attesa. Tutti possono andare in vacanza, ma non tutti partono con la stessa attesa. Non tutti comprendono che questo fermarsi spesso imposto dal sole e dal calendario, altro non è che un’occasione potente per avere a che fare con l’attesa del cuore. Un’attesa che ha domande e proporzioni diverse: che ne sarà di mia madre? Come riuscirò a passare quell’esame? Che faccio con quella donna? Voglio davvero quel lavoro? Più il tempo rallenta, più le domande fremono, più la vita urge.
Maria, che del 15 agosto è la regina, dinnanzi all’inarrestabile avanzata del Mistero dell’esistenza nel suo stesso corpo, prese la decisione di andare da Elisabetta. Perfino lei, che i secoli avrebbero chiamato “tutta santa”, si rese conto che la storia di ciascuno si porta appresso questioni che sono troppo grandi per essere abbracciate da soli.
I giorni in cui il ritmo normale delle giornate cede il passo alle ferie o alle vacanze, possono dunque diventare giorni di disimpegno, giorni di una smemoratezza frastornata, oppure giornate in cui diventa decisiva la ricerca di rapporti cui legarsi, cui annodare il filo della propria umanità. Quanta esclusione, quanta solitudine, quanto dolore si respira a Ferragosto! Perché tutti intuiscono che hanno bisogno di una casa, di una compagnia, di un bene in cui davvero riposare, mentre invece non è inconsueto sperimentare una siderale lontananza da coloro che ci sono vicini.
Certo, perfino la vicinanza può diventare una complicità sentimentale che partecipa al nostro tentativo di dimenticare, di non affrontare, le questioni grandi che abitano la nostra interiorità. Nell’Antico Testamento il profeta Elia si sentì così forte della vicinanza di Dio che sterminò tutti i quattrocento sacerdoti di Baal che negavano la signoria di Dio. Il Signore, dunque, usò di quella vicinanza per portare Elia sul monte e far cogliere al profeta che la Sua presenza, la Sua forza, non era nell’impeto del fuoco o del terremoto, ma nell’impercettibilità della brezza. Gli amici, quelli veri, ci introducono sempre nell’impercettibile, ci indicano in ciò che apparentemente è piccino la strada per guardare a noi stessi e alla nostra avventura.
Dio porta sempre i suoi amici sul monte, in un luogo che non t’aspetti, dove non puoi far valere i tuoi talenti, le tue capacità o la tua intelligenza per mettere a posto tutto. E lì, sul monte, emerge un rivolo, un sentiero, cui guardare per andare incontro a tutto il dolore, a tutta la paura, a tutta l’attesa del cuore.
Quando il tempo che si passa assieme è un tempo così, un tempo che non spera di dimenticare, allora anche la strofa di una canzone, un ballo tra le pieghe della notte, una risata, può rappresentare l’inizio di una strada. Dio non è il Dio delle pietre, dei luoghi cui tornare in una sorta di sudditanza a ciò che è stato: Egli non si è legato al tempio di Salomone, ma ha scelto di essere una Presenza in cammino, un volto che ci raggiungere nell’inatteso, nell’insperato, in ciò che apparentemente sembrerebbe piccolo e perduto. Che regalo sarebbe tornare dalle vacanze con questa scoperta, con questo filo d’oro cui legare la propria strada. Che regalo sarebbe andare in vacanza con amici così!
Ma, perché anche questo regalo non vada perduto, c’è un’ultima parola che rende grande le vacanze: servizio, carità. Uno torna davvero dalle vacanze rigenerato quando torna pronto per servire, pronto per dare una mano alla realtà e agli uomini. Chi torna dalla vacanza pieno di nostalgia o di lamento, pieno di risentimento per il tempo che passa o di ignavia verso ogni sacrificio, non è stato in vacanza, ma è stato lontano da sé. Gli Apostoli tornarono dal monte dell’Ascensione pieni di passione per l’uomo, carichi dell’attesa di Pentecoste, consapevoli ormai che il servizio all’umanità coincideva con la fedeltà a sé stessi e all’Amore che avevano incontrato. In fondo anche loro, dopo i giorni della Passione, avevano avuto il regalo di un periodo ravvicinato con l’Amico di una vita. Quello con cui tutti, in fondo, vorrebbero mettersi in macchina per passare le vacanze.
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