La baldanza dei discepoli di Cristo ha un qualcosa di orribile: una madre soffre perché la figlia è atrocemente ammalata e loro, gli amici dell’Uomo che può tutto – anche arrestare nell’immediato il male –, “esaudiscila: ci viene dietro gridando” gli suggeriscono con una boria da far saltare per aria i nervi. Un gran bel ragionamento che, stavolta, sembra trovare addirittura il consenso del Cristo che nega loro l’autorizzazione a procedere: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele”. Come dire: “Stavolta non tocca a me guarire, io sono venuto per altri!”.

Un certo nervosismo serpeggiava in Cristo: se n’era appena andato via da scribi, farisei – “partito di là”, annota l’evangelista – che lo tallonavano per la sua libertà d’interpretare tutta una serie di prescrizioni: non erano più misericordiosi nemmeno verso quelli di casa loro. E Cristo, con la ciurma dei discepoli che non capivano appieno il senso del suo fastidio, a dire ai suoi avversari: “Siete calici di cristallo, ma dentro avete aceto, miseria!”.

Se ne scappa, dunque: da quella terra, da quel modo di ragionare rozzo, quella voglia di mettere la Legge prima dell’uomo. Per strada incontra una donna: anche lei è in uscita. Sta uscendo dalla sua terra, Tiro e Sidone: zona maledetta, infestata di peccato, segno di ciò che c’è di più lontano dalla salvezza. Porta il dramma di avere una figlia “molto tormentata dal demonio”. È la solita storia delle madri: il male sconquassa la carne dei figli, a patire il male più tremendo sono le madri.

Quando s’incrociano, Cristo sembra sbarellare come i discepoli: l’apostrofa “cagna”, l’atteggiamento è così rozzo d’apparir l’opposto della bontà che Lui sta predicando. Una “cagna” che deve tenere bene a mente una cosa: non si illuda, il pane migliore è per i figli d’Israele. Non per i cani! Sembra importi poco anche la sua amabilità e discrezione: “Kyrie eleison, Signore! (…) Signore, aiutami”.

Come risposta, qualcosa di peggio del silenzio apatico: “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”. Parole che, dette dal Cristo, trattengono un riverbero asfissiante: chi, dopo averle udite, troverebbe ancora il coraggio di non soccombere? Nessuno, eccetto le madri: “Vero, Signore – disse la donna – eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. Nessuna poesia, soltanto la pragmaticità di un’anima in cerca della salvezza, la salvezza che scribi e farisei non accettavano potesse scompigliare la sicurezza delle loro certezze. “Urca – avrà pensato Cristo – anche le ‘cagne’ hanno fede: fede da vendere ai miei amici!”. È una fede spiccia: “Tante briciole faranno una panetteria” si ripeteva la donna: quante briciole si era fatta bastare in passato. A guardarle senza inginocchiarsi per terra erano minuscole: per una cagna come lei erano giganti. Non elemosinava attenzione, conosceva il valore delle briciole.

E Cristo – lo stesso che prima “non le rispose una parola” continuando a procedere per la sua strada – cede: “Questa donna ha una fede buona come il pane: come posso pensare di ridurla in briciole?” pensa. Glielo dice: “Donna, davvero grande è la tua fede. Avvenga per te come desideri” (cfr Mt 15,21-28). Quando, a casa, spazzava la cucina, forse anche la Madonna lasciava le briciole per terra: piace pensare che questa cananea abbia risvegliato la memoria bambina del Cristo. Il ricordo di ciò che gli diceva madre Madonna: “Certe briciole, su certi pavimenti, saranno arredamenti, amore mio!”. Non era pigrizia, era voglia di seminare un po’ ovunque il gusto della salvezza. Una briciola, quando non hai più nulla in mano, ha una fragranza che sbigottisce: “Nel momento che quel sorso di tè, misto a briciole di biscotto, toccò il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario” (M. Proust). Cristo stesso, da quell’incontro, uscì scioccato: “Guarda – pensò –: i miei amici hanno il Pane e sembra loro briciole: rischiano di morire di fame. Per questa donna una briciola è una pagnotta”. Punti di vista.

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