Sono stato un ragazzo apparentemente senza problemi. Andavo benissimo a scuola, ma per il resto, qualunque cosa accadesse o immaginassi, non mi bastava mai. Giocavo a pallone ma non mi bastava. Non mi bastava andar bene a scuola. Non mi bastavano gli amici. Avevo dentro un’enorme irrequietezza, il desiderio prorompente di qualcosa di grande, che non sapevo cosa fosse. Ero come Pedro Pedreiro, il personaggio di una canzone di Enzo Jannacci, che “aspetta qualche cosa al di là del suo mondo / più grande del mare”. Però mi dava un enorme fastidio che le persone intorno a me mi prendessero per l’intelligenza e rifiutassero il resto: non ci stavo e facevo il ribelle. Fino a quel momento nella vita avevo trovato più che altro adulti da cui mi sentivo “sbucciato” come una mela: “sei intelligente… però togliamo la buccia – cioè proprio la parte legata a quell’irrequietezza, a quel desiderio – così la tua intelligenza è più libera”.

Ho incontrato per la prima volta don Luigi Giussani all’inizio della mia avventura universitaria nell’autunno 1974, quando cominciai a seguire i corsi di Morale in Università Cattolica. Non me ne resi conto immediatamente, ma già da come si poneva a lezione, e poi nella frequentazione insieme a tanti altri nella comunità di Cl della Cattolica, mi accorsi di aver trovato qualcuno che non mi avrebbe “sbucciato”. Lui capì che anche la parte più debole, la “buccia” era una parte autentica di me, confusa ma autentica, come la domanda di Pedro Pedreiro. Capiva che la mia irrequietezza esprimeva un desiderio profondo, vero, che la vita non si riducesse a un bel matrimonio, a un bel lavoro, a dei bravi amici. Lui voleva che non smettessi di cercare, perché quella irrequietezza aveva a che fare con la ricerca della felicità, senza cui la vita è insulsa.

Durante gli anni di università, i miei colloqui personali con Giussani si possono contare sulle dita di una mano. Posso personalmente confermare quanto sosteneva, cioè che “la vera direzione spirituale è in pubblico”. Non divenne mai il mio direttore spirituale, non avevamo mai colloqui individuali, e lui non era con me particolarmente gentile. Ma la sua presenza nella mia vita è stata decisiva per come si poneva in pubblico, per come parlava, per come giudicava i fatti della vita, i contenuti e le dinamiche di quanto accadeva vicino e lontano a noi, sia facendo il professore, sia guidando la comunità cristiana dell’Università Cattolica.

Il primo elemento fondamentale con cui ci ha conquistati è che non gli interessava convincerci di ciò in cui credeva, ma prima di tutto desiderava che andassimo a fondo, maturassimo una capacità critica rispetto a quello in cui credevamo noi. Desiderava fortemente che scoprissimo che dentro di noi c’è un cuore, un desiderio di verità, di giustizia, di bellezza che dovevamo seguire, perché in questo consiste la dignità dell’uomo. Questo ci rese consapevoli che quell’uomo era in grado di stare all’altezza della nostra irrequietezza e del nostro desiderio. Per questo lo seguimmo.

(Il testo è un brano dell’autore tratto dal libro “In Comunione e in libertà. Don Giussani nella memoria dei suoi amici”, a cura di Massimo Borghesi, Studium 2023)

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