Lisbona, quei giovani fragili ma desiderosi di cambiare il mondo

Per vivere oggi, tra ansia e paura, i giovani hanno bisogno di essere certi di un destino buono. È Cristo la risposta, ha detto papa Francesco ai giovani di Lisbona

“È Gesù che cercate quando sognate la felicità, è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa; è Lui la bellezza che tanto vi attrae”. Così Giovanni Paolo II si era rivolto ai circa due milioni e mezzo di giovani che nell’agosto del 2000 si erano radunati a Roma, a Tor Vergata, per la XV Giornata mondiale della gioventù. La Gmg se la era inventata Giovanni Paolo II nel 1985 o meglio, come lui amava dire, aveva assecondato uno slancio dei giovani stessi che sentivano il desiderio di ritrovarsi insieme per condividere le loro esperienze e guardare insieme al futuro.

Decenni separano quelle Gmg da quella di Lisbona. Decenni che sembrano anni luce. Solitudine, paura del futuro, ansia, sono i tratti dominanti dei nostri giovani oggi. Ma a questi giovani noi siamo debitori di una certezza. È una certezza che noi adulti dobbiamo loro. La certezza che il loro cuore grida una domanda di senso. La certezza che la loro insoddisfazione non è fine a se stessa.

A Lisbona, nell’incontro con gli universitari, Papa Francesco ha citato il poeta portoghese Pessoa, “essere insoddisfatti è essere uomini”, e ha aggiunto: “non dobbiamo aver paura di sentirci inquieti, di pensare che quanto facciamo non basti. L’incompletezza caratterizza la nostra condizione di cercatori e di pellegrini. Siamo in cammino. Non siamo malati, siamo vivi! Preoccupiamoci quando, al posto delle domande che lacerano, preferiamo le risposte facili che anestetizzano”.

Già ai giovani in partenza per Lisbona Papa Francesco aveva rivolto l’invito a “mettersi in cammino”. Il Papa può invitarli a camminare perché è certo che alla fine di quel cammino c’è la risposta. Come aveva detto Giovanni Paolo II a Tor Vergata, “è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa”.

Un fattore ha dominato in questa Gmg, un fattore che ha come trovato “ospitalità” nelle giornate di Lisbona: la fragilità. Solitudine, depressione, ansia per il presente e per il futuro, esperienze drammatiche di dipendenze, violenze, angosce. Tutto questo ha trovato dimora nella Via Crucis del venerdì sera. Ma anche la violenza della guerra, arrivata a Lisbona nella testimonianza di chi è riuscito a partire dall’Ucraina, come Maryana: “Portiamo alla Giornata mondiale il nostro pianto, la nostra paura, la nostra rabbia ma soprattutto il nostro desiderio di pace”.

Nei giovani di oggi è scomparsa la barriera tra temi sociali e temi esistenziali. Il sociale, quando interessa, diventa immediatamente esistenziale e fa soffrire, fa piangere. Tutti avevamo visto nei giorni precedenti le immagini di quella ragazza, Giorgia, che dichiarava tra le lacrime: “Ho molta paura per il mio futuro. Soffro di eco-ansia e alle volte penso che io non ho un futuro”.

Siamo davanti a giovani fragili, feriti, terribilmente capaci di soffrire. E nell’omelia di domenica Papa Francesco si è rivolto proprio a questa fragilità: “Giovani che coltivate sogni grandi ma spesso offuscati dal timore di non vederli realizzati; giovani che a volte pensate di non farcela, di non essere capaci; tentati in questo tempo di scoraggiarvi, di giudicarvi inadeguati; a voi che volete cambiare il mondo, a voi Gesù oggi dice ‘Non abbiate paura’”. Come duemila anni fa, quando un giorno in Galilea, alle porte della città di Nain, quello stesso Gesù si era fermato sentendo il pianto di una donna, una donna vedova che stava portando a seppellire il suo unico figlio, si era avvicinato e le aveva detto: “Donna, non piangere!”. Commenta don Giussani: “Che cosa inimmaginabile è che Dio, vedendo e ascoltando l’uomo possa dire ‘uomo non piangere!’, ‘tu non piangere!’, ‘non piangere, perché non è per la morte, ma per la vita che ti ho fatto! Io ti ho messo al mondo e ti ho messo in una compagnia grande di gente!’. Non c’è nulla che possa sospendere quell’impeto immediato di amore, di attaccamento, di stima, di speranza. Non c’è nulla che possa fermare la sicurezza di un destino misterioso e buono”.

È la sicurezza di questo destino buono ciò di cui i giovani (e non solo loro!) hanno bisogno per vivere. Una sicurezza che non si comunica con i ragionamenti. Chi ne fa esperienza sa di averla scoperta in un incontro umano, nell’incontro con qualcuno che ti ha guardato con un amore e un interesse a te che nessun altro mai aveva avuto. Quell’amore che Papa Francesco ininterrottamente, per cinque giorni, non si è stancato di gridare a quel milione e mezzo di giovani. “Dio vi ama. Dio vi ama tutti. Dio chiama per nome ognuno”. Possiamo solo lasciarci anche noi abbracciare da quell’amore con la domanda struggente che altri attraverso noi possano farne esperienza.

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