Emergenze a ripetizione, quest’estate a Catania e in Sicilia. L’isola anche quest’anno è stata duramente provata dalla piaga, ahimè ciclica, degli incendi boschivi che hanno interessato anche aree urbanizzate. Nel capoluogo e nell’hinterland etneo le criticità sono diventate più acute per la popolazione e i turisti a causa delle prolungate interruzioni dell’energia elettrica e dell’erogazione idrica. A tali emergenze se ne è aggiunta un’altra che ha isolato quasi totalmente Catania e la zona centro-orientale dell’isola. Un incendio, che ha interessato una modesta porzione della zona degli arrivi, ha causato l’interdizione dell’aeroporto etneo per diverse settimane. Danni per l’intero comparto turistico, commerciale e produttivo siciliano, ricadute negative d’immagine e di reputazione difficilmente recuperabili.
Quel che è accaduto non può non interrogare tutti ed in primo luogo chi ha responsabilità di decisione e di governo. Proprio per raccogliere e non disperdere la lezione impartita dalle emergenze, “Un cantiere per Catania”, vasta aggregazione di organismi di volontariato e del Terzo settore, aggregazioni ecclesiali, organizzazioni sindacali e datoriali, cooperative, professionisti ed esponenti della società civile, ha lanciato alcune “provocazioni” a responsabili e decisori pubblici con un documento diffuso su ampia scala.
Qual è la lezione che gli eventi ci restituiscono?
Primo. La Sicilia continua ad avere un sistema infrastrutturale assai carente e a esser marginale e isolata rispetto alle rotte commerciali e di trasporto se un evento assai limitato (l’incendio di una modesta porzione di aerostazione) ha innescato effetti e conseguenze con danni umani, economici, reputazionali così estesi, a cascata, e, ahimè temiamo, non facilmente recuperabili. È bastato un banale episodio incendiario per mettere in crisi e isolare così gravemente la Sicilia dal resto del Paese, dall’Europa e dal mondo. Va, quindi, ripensato il sistema dei trasporti e dei collegamenti anche nell’ottica di prevedere, soprattutto in caso di emergenza, tempestive e straordinarie soluzioni alternative. L’evento verificatosi, non eccezionale o imprevedibile, svela le fragilità infrastrutturali a cui è urgente porre rimedio con strategie e programmazione di interventi e di investimenti.
I recenti dati del rapporto Sussidiarietà e governo delle infrastrutture realizzato dalla Fondazione per la Sussidiarietà lo dimostrano in maniera evidente: il Paese investe solo lo 0,4% del Pil nelle infrastrutture di trasporto, quasi la metà rispetto agli altri Stati europei (Francia 0,9%, Gran Bretagna 0,8%). E ciò è ancora più esplicito nel Sud del Paese, segnato da ritardi e divari storicamente risalenti. Infatti i divari fra Nord e Sud negli ultimi anni non solo non sono stati colmati e superati, ma addirittura si sono accresciuti, secondo quanto riferisce la Banca d’Italia con un interessante, recente rapporto (Il divario Nord-Sud: sviluppo economico ed intervento pubblico, 2022). E quello che è accaduto ha fatto deflagrare in tutta la loro virulenza le fragilità e l’isolamento infrastrutturale siciliano.
Per questo appaiono decisivi gli investimenti previsti nel Pnrr per le reti ordinarie di trasporto. E non solo per il ponte sullo Stretto di Messina. Così come è essenziale il supporto tecnico e l’assistenza statale alle amministrazioni locali appaltanti, tradizionalmente in affanno, per evitare di perdere i fondi stanziati che, per l’appunto, assumono carattere determinante per il futuro del Sud. Le carenze infrastrutturali riguardano anche la rete elettrica che, assieme alle altre reti infrastrutturali (autostrade, ferrovie) realizzate decenni addietro, ha i nodi centrali nel Nord e Centro Italia. Gli impianti e le reti di distribuzione nell’isola, peraltro, da anni non vengono rinnovati ed è improcrastinabile incrementarne la resilienza ai fenomeni atmosferici più acuti.
Secondo. La stella polare dei decisori politici e degli amministratori non può esser che il servizio al bene comune. E ciò comporta una rinuncia da parte della politica a perseguire interessi particolaristici e di limitati gruppi per adottare come orizzonte il bene comune; una rinuncia a coltivare lo scontro come arma politica per dialogare anche con l’avversario politico e con quelli lontani dal proprio schieramento. E ciò proprio per “servire meglio”, per esser più efficacemente al servizio del bene comune avendo come obiettivo più rilevante le priorità e le criticità da affrontare e risolvere per il bene di tutti, soprattutto in momenti di emergenza e decisivi per la convivenza civile. “Una rinuncia momentanea può essere una grande tattica di combattimento” per chi fa politica (A. Moro, Studium, 1945).
Per tutti si afferma, pertanto, come urgente e ineludibile il compito e la responsabilità di “rinnovare” la politica e di realizzare quell’amore politico (Francesco, Fratelli tutti) vero obiettivo di tanti. In quest’ottica hanno continuato ad agire sul territorio, soprattutto nei giorni dell’emergenza, tanti organismi di volontariato, anche non cattolici, rinunciando a coltivare posizioni particolari e lontani dai riflettori, per assistere e aiutare la popolazione, i fragili, i malati, i poveri, gli anziani, gli emarginati e i senza fissa dimora dei quartieri e dei paesi catanesi. Proprio per tale prezioso e decisivo ruolo svolto, non da ora, tali organizzazioni hanno rinnovato pubblicamente l’invito alle amministrazioni locali a rivedere i propri metodi e strategie di intervento soprattutto in ordine alle criticità ed emergenze civili e sociali, nella prospettiva di adottare un’amministrazione condivisa, nuova, entusiasmante frontiera di un ente locale aperto alla collaborazione dei cittadini, dei corpi intermedi e del Terzo settore.
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