La Spagna è ancora una volta in fiamme dal punto di vista politico. In realtà, il fuoco brucia da 20 anni. I fatti sono noti. Pedro Sánchez, dopo le elezioni di luglio, ha bisogno di cinque voti in più di quanti ne abbia già per essere nominato nuovo Premier. Questi voti possono essere assegnati dal partito di Puigdemont, leader indipendentista catalano, che è sfuggito alla giustizia e si è stabilito a Bruxelles dopo il referendum illegale del 2017 e la breve proclamazione dell’indipendenza della Catalogna.
La settimana scorsa, Puigdemont ha chiesto un’amnistia di cui potrebbe giovare personalmente insieme ad altre 4.000 persone. Nell’ambiente di Sánchez l’annuncio è stato ben accolto. Al momento Puigdemont ha rinunciato a un referendum sull’autodeterminazione. I negoziati sono in corso e i socialisti stanno cercando di inserire l’amnistia nell’ordinamento legale. È molto difficile perché, in linea di principio, non rientra nella Costituzione e lo stesso Sánchez e i suoi ministri lo hanno affermato in molte occasioni.
Il nuovo ruolo di Puigdemont giunge, paradossalmente, in un momento in cui è giuridicamente e politicamente molto debole. La giustizia europea lo ha privato dell’immunità parlamentare e la sua estradizione dal Belgio alla Spagna potrebbe essere vicina. Nelle elezioni di luglio, il movimento indipendentista catalano ha subito una significativa perdita di voti. Il sostegno sociale all’indipendenza diminuisce.
L’ultima amnistia in Spagna è stata quella del 1977 ed è stata promossa principalmente dai comunisti. Tale misura, raggiunta tramite un ampio consenso delle forze che hanno dato vita alla democrazia, ha comportato la messa in discussione del sistema giuridico della dittatura franchista. In realtà, qualsiasi amnistia presuppone una condanna dell’ordine precedente. I socialisti sanno che la nuova amnistia andrà oltre i limiti costituzionali. Ma non hanno paura. Non hanno paura perché la maggior parte dei giudici della Corte costituzionale è dalla loro parte. E non hanno paura perché si sentono sostenuti dai risultati elettorali.
A luglio, infatti, si prevedeva che Sánchez perdesse molti consensi. Ci si aspettava che diversi elettori socialisti tradizionali lo punissero per le sue cessioni al movimento indipendentista negli ultimi anni (indulto, riforma del codice penale, ecc.), ma non è stato così. I socialisti si sono rafforzati in Catalogna. E Sánchez e i suoi ministri sostengono di avere il sostegno della volontà popolare. È vero che i socialisti e i loro alleati hanno il sostegno della maggioranza degli elettori. Ma è una maggioranza di poco più della metà dei voti, la minoranza contraria è poco meno della metà dei voti. In ogni caso, la questione dell’amnistia non è un problema di maggioranze. Stiamo parlando del cuore del sistema democratico e del contrappeso delle istituzioni.
Madison, uno dei padri della Costituzione degli Stati, ha sempre difeso la democrazia rappresentativa rispetto a quella diretta del passato, troppo incline a diventare una tirannia della maggioranza. Da qui la necessità di quella che lui chiamava “intelligenza istituzionale”. Le costituzioni europee del dopoguerra sono particolarmente sensibili agli eccessi delle maggioranze.
In questi giorni in Spagna, i vecchi socialisti, i costituzionalisti, la destra, molti intellettuali criticano quello che considerano un profondo tradimento dello stato di diritto. Ripetono più e più volte che bisogna denunciare l’attacco alle istituzioni, proclamare la verità su ciò che sta accadendo. E i giovani socialisti ripetono i numeri del risultato elettorale.
Steven Levitsky, politologo e professore ad Harvard, spiega che in questo inizio di XXI secolo le democrazie non muoiono all’improvviso, ma per “trascinamento”, ovvero per un lento degrado istituzionale. Questo è il problema che dobbiamo affrontare. Il risultato delle elezioni non è una garanzia per l’approvazione dell’amnistia, ma attesta che un’amplissima parte della società spagnola non percepisce alcuna minaccia nel deterioramento del sistema di pesi e contrappesi. Ecco perché non è sufficiente cambiare ciò che dovrebbe essere cambiato per proclamare qual è l’errore. Questo è ciò che i vecchi socialisti non capiscono.
Qual è il contrappeso quando l’equilibrio istituzionale scompare? Madison parlava di virtù. Oggi potremmo parlare dell’energia di un’esperienza sociale che rende possibile che la democrazia sia qualcosa di più del semplice gioco delle maggioranze. La virtù è interesse per l’altro. Ma quell’energia manca e non si recupera semplicemente “dichiarando” ciò che è giusto e legale. Una dichiarazioni che non sia l’espressione di una conquista sociale viene sempre percepita come un’imposizione.
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