Nessun comune italiano ha avuto – almeno finora – una ribalta mediatica internazionale come quella di Birmingham. Il secondo distretto municipale inglese – dopo Londra – nei giorni scorsi ha dichiarato bancarotta. La motivazione semi-ufficiale appare d’eccezione, anche se fino a un certo punto. Birmingham (1,1 milioni di residenti attualmente amministrati dai laburisti) ha infatti dovuto sborsare 1,1 miliardi di sterline (circa 1,3 miliardi di euro) per uniformare le retribuzioni di tutti i dipendenti municipali, dopo una causa di “gender pay inequality” intentata e vinta da 170 fra insegnanti, assistenti sociali, addette alle pulizie e alle cucine. Il debito non è esaurito: ammonta ancora a 760 milioni di sterline ed è in aumento progressivo.
Le cronache citano però anche altro: non ultimo l’impatto dell’inflazione e del suo contraccolpo recessivo, che ha colpito il Regno Unito più dell’Ue (e le West Midlands sono uno storico distretto manifatturiero). Ma non mancano capitoli più controversi: un maxi-investimento in tecnologie digitali presso Oracle, gonfiatosi a dismisura rispetto alle previsioni. Ma anche un costoso progetto-scommessa sulla transizione verde (riciclo in idrogeno degli scarichi dei bus). Non ultimi: gli stanziamenti per i Giochi del Commonwealth del 2022 e quelli per gli europei di atletica leggera, assegnati a Birmingham per il 2026. Il Premier britannico, il conservatore Rishi Sunak, ha escluso che il Governo possa soccorrere ancora la città, già puntellata con un extra-budget del 10%.
Il caso di Birmingham sembra commentarsi da solo e proiettarsi in modo esemplare anche al di qua della Manica. La congiuntura difficile (inflazione, minor gettito fiscale, rivendicazioni sindacali, aumento della richiesta di servizi sociali dopo tre anni di Covid) mette sotto pressione amministrazioni locali di ogni dimensione e latitudine in Europa. E le città più grandi sono quelle più in trincea sul doppio fronte della transizione verde e digitale, oltreché alle prese con strategie di “city marketing” inevitabilmente calamitate dai grandi eventi.
In Italia, nel frattempo, fanno notizia gli infiniti preannunci di rincari nelle fiscalità comunale di ogni genere (uno per tutti è quello dei ticket per l’ingresso nella Ztl “Area C”, deciso dal Comune di Milano). Ha trovato invece qualche spazio sui media nazionali il curioso caso di Cadoneghe, un piccolo comune alle porte di Padova. Qui un fatto apparentemente di cronaca – un attentato esplosivo contro un autovelox – ha rivelato un complesso squarcio d’attualità di politica finanziaria locale.
L’autovelox distrutto era stato installato nel giugno scorso su una statale di grande scorrimento nel territorio di Cadoneghe e – al momento dell’attentato – aveva già “prodotto” 24mila multe (con punte di una ventina per singolo automobilista e la stima di un importante incasso a sei zeri entro la fine dell’anno). Le infrazioni per eccesso di velocità sono state moltiplicate anche dall’abbassamento ad hoc del limite da 70 a 50 chilometri all’ora in coincidenza con l’installazione dell’ autovelox. Le indagini della Procura di Padova hanno avuto un esito molto significativo: nel mirino non è finito nessun “bombarolo ignoto”, mentre sul registro degli indagati sono comparsi il nome del comandante dei vigili urbani di Cadoneghe e un suo agente per presunte irregolarità nell’attivazione dell’autovelox.
L’amministrazione comunale (di centrodestra) è in surplace mirando principalmente a evitare un clamoroso contenzioso giudiziario con migliaia di cittadini, molti dei quali residenti. All’orizzonte si sta già delineando una qualche forma di sanatoria, mentre gli autovelox rimarranno probabilmente fuori uso. Ma con la magistratura in campo non sarà facile eludere una questione di fondo, che non sorge certo per la prima volta e prevedibilmente neppure per l’ultima fra i 7.901 campanili comunali della penisola. Quanti autovelox sono nei fatti il bancomat d’emergenza (o addirittura strutturale) di amministrazioni locali rimaste a corto di cassa per pagare stipendi e servizi ora con più inflazione e meno tributi e trasferimenti statali? Senza dimenticare la motivazione-mantra (e politicamente tutt’altro che fasulla) della larga maggioranza dei sindaci: gli autovelox rafforzano la sicurezza dei cittadini e contribuiscono alla tutela ambientale dei territori. Cioè sono pienamente inseriti nella “grande transizione digitale” insita nel Pnrr. A essere “fuorilegge” sono gli automobilisti a combustione tradizionale. Che però – al momento – sono ancora la maggioranza e titolari di diritto di voto.
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