Tra chi si occupa di scuola, ricorre sistematicamente l’affermazione che i problemi sono sempre gli stessi, e i decisori politici sembrano incapaci di fissare delle priorità. Riguardando i miei interventi sul Sussidiario, ho visto che nel dicembre 2016, sette anni fa!, affermavo che “nel suggerire quali possono essere queste priorità, però, ogni pallido tentativo di ottimismo cede di fronte alla considerazione che i problemi che erano irrisolti con Profumo, Carrozza e Giannini (e forse anche con Gelmini, Fioroni, Moratti, Berlinguer…), restano in larga misura tali, e le grandi riforme di sistema sono restate incompiute, sospese, modificate o contraddette dal successivo ministro”.
Nel febbraio 2015 il ministro Giannini parla di “24 priorità per l’istruzione”: ma ventiquattro priorità, semplicemente, non esistono. In che ordine di importanza sono? Manca una visione d’insieme, senza la quale tutti i punti indicati restano una semplice dichiarazione di intenti, e non hanno alcun carattere di operatività. Il ministro fissi piuttosto due, tre priorità vere in base alla realizzabilità, alle sue personali simpatie, al riscontro politico, non ha importanza, ma di quelle due o tre ci dica come intende farle, con che tempi, con che soldi, con quale sostegno politico.
Le imprese non paiono più concrete: i “cento punti” del documento L’education per la crescita presentato da Confindustria il 7 ottobre 2010 sulla carta sono bottom up, cioè partono dalle esperienze delle imprese e delle associazioni, integrate dai pareri degli operatori, degli esperti, fino ad arrivare a una proposta passabilmente organica: ma cento punti paiono difficili, realisticamente, da mettere in ordine di priorità.
1) Ma di questi problemi irrisolti si parlava già da tempo: ad esempio la valutazione, tema trasversale che attraversa l’intero sistema formativo, su cui però le resistenze restano forti, anche se ci sono stati dei miglioramenti, dovuti a mio avviso anche alle pressioni degli utenti, che invece la apprezzano. Bisognerebbe però investire per creare organismi composti di professionisti qualificati, dotati dei necessari mezzi e messi in grado di operare in modo libero e responsabile.
2) Nei giorni scorsi, il ministro ha presentato un piano di riforma per la valorizzazione della formazione tecnico-professionale e del collegamento fra formazione e lavoro: qui si era fatto un notevole progresso con l’istituzione dell’alternanza, che però è stata presto sostituita dai più limitati PCTO. Eppure il coinvolgimento delle imprese potrebbe servire anche a ridurre l’alto numero di studenti che interrompono il percorso di studio senza conseguire un titolo.
3) I risultati dei test confermano l’esistenza di una scuola a due velocità, con regioni che competono ad armi pari con le nazioni più virtuose e regioni che vivacchiano al fondo della classifica. Non si tratta di innescare sterili vittimismi e rifiuti incondizionati, ma di stimolare i provvedimenti per porre riparo alle situazioni deficitarie. Se la dispersione, formale o informale, non diminuisce, non ci si può limitare ad accrescere a casaccio il numero degli insegnanti, ma bisogna mettere in atto misure per le nuove e vecchie “fasce deboli”, tra cui i ragazzi di origine straniera, sempre più numerosi, che costituiscono un aspetto rilevante del più generale tema del successo formativo.
4) Quanto ai finanziamenti, cioè la quantità dei fondi, e il modo di utilizzarli, è molto improbabile che si possa espandere la spesa per l’istruzione, ed è quindi necessario accrescere il bassissimo tasso di efficienza degli attuali sistemi, modificando i meccanismi, ad esempio legando i fondi al numero di iscritti. Un approfondito esame del rapporto fra costi e benefici è a mio avviso una delle priorità, per ristabilire il legame con il merito, ridurre al minimo la distribuzione a pioggia tanto gradita ai fautori di una malintesa equità e far crescere gli investimenti in ricerca e sviluppo, anche valorizzando il ruolo del mercato.
5) Il problema centrale è da sempre quello degli insegnanti: anche ammettendo che si risolvano gli aspetti quantitativi riducendo le code e le supplenze, due temi interconnessi, restano i nodi della formazione, reclutamento e carriera, che dovrebbero tutelare la qualità. Anche in questo caso, l’attuale ministro sembra intenzionato a introdurre delle procedure migliorative, ma non si vuole capire che il solo modo per avere insegnanti coerenti con il progetto educativo e con gli impegni presi con famiglie e studenti è quello di assegnare il reclutamento alle scuole e alle reti di scuole, e di pensare a reali percorsi di carriera e di valorizzazione dei buoni insegnanti, visto che questa situazione di appiattimento sta creando una crescente disaffezione dei laureati migliori verso l’insegnamento, considerato una scelta di ripiego. Docenti (o sindacati) e famiglie che difendono lo status quo non si accorgono che fanno un danno ai ragazzi, tutelando una scuola governata dal caso, e non da docenti – e dirigenti – qualificati, motivati e scelti dalle scuole in base ai propri obiettivi educativi, e non assunti solo perché sono in coda da anni, e riciclati in qualche modo. Si deve decidere di quali e quanti insegnanti la scuola ha bisogno, formandoli adeguatamente e dando loro un contratto di lavoro che li incentivi a migliorare.
Ma se i problemi sono noti, e spesso anche le possibili soluzioni, come mai c’è questa perdurante difficoltà a cambiare? Il fatto è che i tempi della formazione sono tempi lunghi, in cui le conseguenze delle decisioni politiche diventano evidenti dopo molti anni, mentre i tempi della politica sono brevi, e quindi le decisioni porteranno frutto, se lo porteranno, non a chi ha deciso ma a chi verrà dopo di lui. La prima indicazione è quindi quella di fissare le priorità tenendo conto del fatto che l’orizzonte temporale di queste priorità non è e non può essere confinato nell’arco di una legislatura, e serve un’intesa di massima, un consenso politico sulla linea da seguire, puntando sulla capacità di una scuola autonoma di fissare e raggiungere i suoi obiettivi, garantendo il diritto alla qualità, non alla mediocrità.
Il ministero dell’Istruzione dovrebbe realizzare, anche se con dispiacere, che l’autonomia è legge dal 1997, la riforma del titolo V della Costituzione risale all’ottobre del 2001, e quindi il tentativo di scuole e reti di scuole, e di qualche Regione, di operare con un minimo di indipendenza dal centro non va considerato come la ribellione delle tribù barbare al Sacro Romano Impero, ma come l’esercizio di un legittimo diritto.
No allora alle riforme che prevedono un rinnovamento di tutto il sistema, e che non vengono accompagnate da una adeguata operatività, diffondendo così fra gli insegnanti forme subdole di burn out, di scoraggiamento e disinteresse. Non mi preoccuperei tanto dei pochi che gridano e rivendicano, quanto dei molti che lavorano in un silenzio sempre più sfiduciato, visto che formulare dei propositi a cui poi non si riuscirà a tenere fede (del tipo risolvere per sempre il problema dei precari o convincere schiere festanti di docenti a sfilare davanti all’Invalsi agitando gagliardetti e cantando “vogliamo essere valutati”), provoca un effetto depressivo, ed è preferibile concentrarsi su poche cose importanti e fissare dei traguardi precisi. Se il problema dei docenti è il più importante, il ministero deve identificare degli interlocutori attendibili e costruire con loro le tappe del processo che introdurrà procedure adeguate di formazione, di selezione, di reclutamento, di formazione in servizio, di valutazione e di carriera. Se questo non avviene, i decisori politici riusciranno forse a mettere a punto delle riforma dignitose, ma non a farle decollare.
Si è aggiunto qualche nuovo tema, ad esempio quello delle competenze e in particolare delle competenze non conoscitive, e forse si sta cominciando a capire che andrebbe affrontata in modo serio e non ideologico la questione del rapporto fra scuola statale e scuola non statale… Ma in genere i desideri da esprimere, Aladino docet, sono solo tre, per cui fermiamoci qui: ce n’è d’avanzo. O meglio, resta lo spazio per una considerazione di metodo: i problemi vanno in ogni caso affrontati a partire dalle sperimentazioni e dai dati di ricerca, e non da assunti ideologici, così che sia possibile sviluppare una strategia di intervento che preveda delle tappe e dei controlli in itinere; e le soluzioni vanno trovate in accordo tra maggioranza e opposizione, con l’impegno solenne da parte di entrambe a non mettere in discussione le decisioni prese al variare della maggioranza, o anche solo del Governo.
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