Il limite e la morte come dono

Il Signore non è all'opera per risolvere il problema dei limiti della nostra esistenza terrena, ma per rendere questi limiti un luogo di incontro. Con Lui

In questi giorni parlavo con una mamma che da alcuni anni cura il giovane figlio allettato. È una cristiana credente, praticante e a volte militante. Dopo che suo figlio ha manifestato per l’ennesima volta un episodio di rabbia e imprecazione violenta contro la vita e contro di lei, mi ha detto che, forse, una vita vissuta con così tanta rabbia e così limitata non vale la pena di essere vissuta.

Io ho risposto che se la vita fosse qualcosa di inerente solo a questo mondo, solo a questi anni dentro il tempo e alla misura della nostra ragione, allora lei forse non avrebbe torto e, tirando le somme, si potrebbe anche arrivare ad una conclusione negativa, ritenendo che una vita limitata fisicamente e provata psichicamente non vale la pena di essere vissuta.

Ma se la vita umana è veramente la possibilità, anzi l’invito appassionato, fino al sangue, di allacciare un rapporto con l’Eterno, con ciò che non passa mai, che è solo e sempre “più e più” grande e perciò che rende la nostra esistenza dilatata fino all’infinito, allora forse non ha ragione.

Suo figlio è o non è fatto per un rapporto con il Padre misericordioso ed eterno? Se lo è, allora lei, ed io con lei, supplicheremo continuamente questa misericordia, tutti giorni. Così crescerà innanzi tutto lei, nel riconoscere come Dio sta rispondendo a questa mendicanza nella persona del figlio.

Il Signore non è all’opera per risolvere il problema dei limiti della nostra esistenza terrena, ma per rendere questi limiti il “santuario” dell’incontro con Lui, presente carnalmente in mezzo a noi, rendendoci capaci di vivere con un orizzonte infinito, se sappiamo mendicarlo.

Lei si è sentita molto aiutata da questa risposta anche se, dopo anni di rapporto intenso, so perfettamente che passerà poco tempo prima di dover tornare sul tema. Il punto cruciale è che siamo apparentemente incapaci di sopportare la nostra mortalità. Il limite, di cui il mondo è intriso, ci getta subito nella mendacità: i limiti della materia, delle persone che ci circondano, e soprattutto i limiti che ci troviamo addosso, ci rendono insofferenti di fronte alle cose così come sono e perciò la realtà diventa essa stessa un limite insopportabile.

Siamo continuamente sedotti, senza molta fatica, dalla menzogna e dalla violenza dell’idea di costruire un mondo a nostra misura, e perciò immagine; e così ogni limite diventa occasione di paura e ribellione: la mancanza di affetto e virtù negli altri, il fatto che le nostre macchine prima o poi falliscono, il nostro corpo stesso, che ci aveva trasmesso in modo così convincente la promessa di una vita senza fine, e ci tradisce  gettandoci in faccia continuamente il nostro limite, la nostra caducità, la morte.

Quando le persone mi chiedono se i loro cani saranno anch’essi in Cielo, domando come il cane li guardava, come reagiva quando li ritrovavano alla fine della giornata. Aggiungo sempre che quegli animali avevano una gioia e una felicità completa nel rapporto con loro perché i proprietari rappresentano per i cani  il loro “tutto”, il rapporto che li compie perfettamente. Ma nulla di simile ha lo stesso effetto per noi umani se non il rapporto con Qualcuno oltre il confine del mondo: Lui, perciò, è il nostro destino.

L’iniziativa imprevedibile dell’Infinito, da cui tutto emerge, è la risposta modesta, elegante e scioccante alla nostra condizione. L’infinito ci offre il Suo stesso corpo per condividere la Sua medesima vita, cioè entrare in un rapporto di amore misericordioso ed eterno con il Padre, ora.

I limiti e la morte ci lanciano nel rapporto con Lui, il nostro destino, e così diventano circostanza e testimonianza di un bene possibile per tutti.

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