Meglio non fare i nomi: sono esuli russi. Emigrati, sparsi in tutto il mondo proprio quando il Potere serra le fila per schierare tutti compatti contro il nemico ucraino e occidentale. In questi giorni riuniti insieme a Milano e a Seriate (Bergamo) da Russia Cristiana. Sono anch’essi, a loro modo, vittime della guerra contro l’Ucraina.
C’è, per esempio, la giornalista di successo e docente di comunicazione: di fronte alle leggi liberticide imposte alla stampa, alle accuse rivolte a lei e colleghi di essere “agenti stranieri”, cioè nemici del popolo, ha preso dolorosamente atto che così è impossibile fare del giornalismo e men che meno insegnarlo. Per rimanere bisognerebbe tacere o mentire: no.
C’è il pittore di icone: ha dipinto e insegnato a dipingere in adorazione del Mistero, non può accettare di dipingere in adorazione della gloria imperiale di una religione di Stato. La docente di letteratura e traduttrice non cede allo stravolgimento del senso delle parole e della lingua piegate a un dire ideologico e falso. È in Canada. Un professore è in Georgia. Un direttore amministrativo in Montenegro. C’è anche un poeta bielorusso. Ci sono preti ortodossi che hanno criticato le posizioni del patriarca Kirill. E molti altri ancora.
Alcuni sono stati tra i protagonisti, giovedì e venerdì scorsi, del convegno di Russia Cristiana Dentro il dramma ricominciare dalla persona. L’eredità di padre Scalfi. Tutti hanno avuto modo di passare qualche giorno insieme. A vivere un’esperienza di condivisione, come ha testimoniato padre Scalfi “che sin da giovane prete ha investito tutto se stesso semplicemente per essere accanto ai perseguitati”. E ciò mentre tutto in Russia appare all’insegna dell’anti-condivisione, della lacerazione: lo Stato che ingoia la religione e sostituisce la fede con il culto della nazione, chiese locali dove si prega per la vittoria in guerra.
Condivisione di che cosa? Del dolore, innanzitutto. Dolore per aver perso casa, lavoro, parenti, amici, luoghi, “come quando fu distrutto il tempio di Gerusalemme”, ha detto uno di loro. Condivisione della lotta quotidiana per vivere nelle difficoltà, per mantenere se stessi e la famiglia, senza accettare di vivere nella menzogna. Senza accettare cioè il cinismo per cui la persona non conta nulla e la verità è vendibile, dipende solo dal prezzo. Condivisione, ancora, delle domande di cui queste donne e questi uomini sono carichi: “Potrò un giorno tornare? E come vivere la fede con un’istituzione che la contraddice? Come è stato possibile che tutto ciò accadesse? E qual è ora il mio volto? E dove la mia casa? “Qui – hanno detto in molti – abbiamo un luogo dove poter porre queste domande e aiutarci a cercare risposte”.
Condivisione, poi, di una domanda molto acuta: qual è la nostra responsabilità in ciò che è accaduto? Non il sentimento di colpa per qualcosa di male fatto direttamente, ma la consapevolezza di appartenere a un popolo che ha aggredito un altro popolo. E quindi non si può far finta di nulla. E poi l’altra domanda struggente: io che cosa posso fare? “C’è poco che possiamo fare per cambiare la situazione, non possiamo fermare la guerra. Ma c’è tutto da fare in noi”, è stata una delle risposte. Un altra: “Può essere impossibile tutto, ma non un’amicizia, se c’è un ‘terzo’ (s’intende Russia Cristiana, ma più profondamente il riconoscersi uniti in Cristo), in cui ci riconosciamo”. Un altro ancora: “Possiamo vivere la Russia cristiana anche nella diaspora, dobbiamo impararlo”. Persone, insomma, che “ci sono”, “stanno”. E un luogo, un’amicizia che li sostiene.
Il cinismo di cui si è detto qualche riga sopra, per il quale la persona è nulla, non è prerogativa del regime russo. È anche in noi, almeno come tentazione. Frasi come “le forze che cambiano la storia sono quelle che cambiano il cuore dell’uomo” (Giussani) o “ricominciare dalla persona” (titolo del convegno), magari ci piacciono come slogan, ma ci crediamo sempre davvero?
Difficile convincersi per ragionamento; più adeguato guardare e riconoscere le testimonianze. E qui le abbiamo avute. “Dall’io comincia la storia, il cambiamento – ha detto un partecipante – è questa promessa che va presa sul serio. Mi riconosco persona quando c’è un altro che mi guarda: credevamo che fosse una possibilità persa per sempre, invece questa è realtà, non un progetto o un sogno. Questo sguardo, che ci richiama a qualcosa di più grande di quello che noi possiamo fare, può accadere ovunque”.
C’è stato il Samizdat, che padre Scalfi ha fatto conoscere, che aveva al centro la persona e non l’opposizione politica: ha custodito e nutrito il desiderio della persona di vivere libera nella verità e non schiava nella menzogna. Nella realtà, non nella narrazione del Potere. Poeti, pittori, giornalisti, professori, uomini e donne che oggi tengono viva, e si aiutano a tener viva, questa scintilla, sono come il seme di un nuovo Samizdat. Sta a noi coglierlo e riconoscerlo – imparando moltissimo da padre Romano Scalfi, fondatore di Russia Cristiana e raccogliendo dunque la sua eredità – e non ignorarlo o trascurarlo come colpevolmente e ottusamente fece gran parte dell’Occidente in passato. E – vorrei sbagliarmi – anche adesso.
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