Il cimitero Mediterraneo

Sono tanti i migranti approdati in Europa negli ultimi mesi, così come tanti sono quelli morti nel Mediterraneo. Un fenomeno su cui pesano alcuni paradossi

L’acqua è scura. Sono sulla barca di Jony, un pescatore, per fare un reportage sul conflitto tra Spagna e Regno Unito sulle presunte acque territoriali di Gibilterra. La notte è calma, non c’è molto vento, ma le ore di navigazione sono lunghe e inquietanti. Jony, un marinaio esperto, non esce in mare aperto dallo Stretto perché le correnti e i venti sono pericolosi. Navighiamo su un peschereccio di oltre dieci metri di lunghezza con tutti i moderni strumenti di navigazione. Quando sorge l’alba, con i suoi raggi rosa, il mondo cambia, la luce rende tutto diverso. Si può vedere nitidamente la costa del Marocco, la costa dell’Africa, a meno di 14 chilometri.

Torniamo a terra. Jony porta il pesce al mercato. Abbiamo navigato su un grande cimitero. Per quanto ne sappiamo, l’anno scorso 2.400 persone sono morte nelle acque che abbiamo attraversato, 20.000 negli ultimi dieci anni. Solo nel Mediterraneo centrale 450 nei primi tre mesi del 2023. Abbiamo percorso la rotta migratoria più letale del mondo. Molti fratelli e sorelle “sono annegati nella paura, insieme alle speranze che portavano nel cuore”, ha detto il Papa a Marsiglia.

Von der Leyen ha promesso qualche giorno fa a Lampedusa maggiori aiuti ai Paesi del sud e un cambiamento nella politica migratoria dell’Ue. Il nuovo patto è fermo dal 2020 e la proposta di regolamento presentata quest’estate è stata bloccata al Parlamento europeo. Il regolamento, se andrà avanti, sarà insufficiente a risolvere la grande sfida migratoria. Accelera l’identificazione dei richiedenti asilo e dei migranti economici, un’identificazione che già viola i diritti umani. Stabilisce l’obbligo di fornire i mezzi per accogliere 30.000 migranti all’anno. Questa è la stessa cifra che ci si aspetta dai ricollocamenti in Paesi che non hanno confini con l’Africa. I numeri sono del tutto insufficienti. Solo nei primi tre mesi di quest’anno, 40.000 persone sono arrivate in Europa attraverso il Mediterraneo centrale. Questa è la rotta che porta principalmente in Italia, ed è la più utilizzata. I ricollocamenti pianificati sono pochi e sappiamo che i Paesi non costieri spesso non rispettano i propri obblighi.

Mentre aumentano gli arrivi, Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere e il salvataggio, soccorre sempre meno. Le navi sono state sostituite da droni che non portano nessuno fuori dall’acqua. La Mediatrice europea, Emily O’Reilly, sta studiando proprio la mancanza di volontà di Frontex di salvare vite umane. I Governi ostacolano le attività di salvataggio delle Ong, sostenendo che esse rappresentano una sorta di richiamo. Esistono studi recenti che negano questo presunto effetto. Il rapporto “Search-and-Rescue in the Central Mediterranean Route does not induce migration”, come altri lavori simili, indica che praticamente tutti i tentativi di attraversare il mare sono spiegabili dall’intensità dei conflitti, dai prezzi delle materie prime e dai disastri naturali, nonché dalle condizioni meteorologiche. Una politica di soccorso umanitario non attira più migranti. In nome del cosiddetto richiamo, vengono mantenuti anche centri per migranti con una capacità molto inferiore al necessario. Il chiaro esempio viene da Lampedusa.

La migrazione attraverso il Mediterraneo risente della crudeltà delle mafie, della cattiva politica europea e della mancanza di uno sviluppo adeguato nei Paesi di origine. Il paradosso è grande: chi rischia la vita in mare non dovrebbe lasciare la propria terra; l’Europa ha bisogno di popolazione straniera, ma non stabilisce rotte sicure, né pensa a formule che facilitino l’integrazione.

Jony e io ci siamo salutati. Noi due, sani e salvi, nella terra in cui siamo nati. Torniamo da un cimitero senza lapidi.

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