In Italia si sono tenuti due referendum popolari sull’energia nucleare: nel 1987 e nel 2011. Entrambi hanno registrato un’affluenza superiore al 50% e una contrarietà a larghissima maggioranza allo sviluppo di progetti nucleari nel Paese.
La prima consultazione fu lanciata dal Partito radicale sulla scia del disastro di Chernobyl – in Ucraina, allora ancora in Unione Sovietica -, il più grave incidente nucleare civile noto nell’era atomica. Ventiquattro anni dopo fu Italia dei Valori a giocare in contropiede su un’iniziativa dell’ultimo Governo Berlusconi a favore di una riapertura degli studi di fattibilità sulla produzione di energia dal nucleare in condizioni di sicurezza. Il voto contrario fu fortemente influenzato dall’incidente alla centrale giapponese Fukushima (il Governo tentò invano di congelare lo svolgimento del referendum).
“I referendum non sono eterni”, ha ripetuto nei giorni scorsi l’economista Davide Tabarelli, uno dei massimi esperti di questioni energetiche in Italia. È il Presidente-fondatore di Nomisma Energia: un think tank nell’orbita di Romano Prodi. Non è quindi un politico-slogan e tanto meno un antagonista ideologico o arrabbiato della cultura verde ortodossa, che ha avuto finora nel no al nucleare uno dei suoi cardini non negoziabili. Quando Tabarelli si augura il ritorno alle urne sul nucleare sembra invece recuperare in chiave di necessario percorso democratico – a rafforzare una verifica autenticamente collettiva – uno spirito del tempo: tecnologico, economico, geopolitico.
La transizione energetica – alla ricerca di una nuova sostenibilità socio-economica – è più di un mantra mediatico: l’Europa l’ha posta alla base del suo Recovery Plan, dando una fisionomia più decisa al NextGenerationEu. La prova di una doppia e consecutiva emergenza globale – la pandemia e poi lo scontro geopolitico attorno all’Ucraina – ha reso prioritaria fra i Ventisette la ricerca dell’autonomia energetica, con una revisione realistica di obiettivi e strumenti della de-carbonizzazione: anche alla luce dell’evoluzione degli accordi Cop.
Il nucleare “pulito”, di nuova generazione, ha già avuto una rilegittimazione Ue e questa si sta presentando come simbolica di una fase di maturità di un processo di civilizzazione ecologica liberato da fardelli ideologici.
Un referendum sul nucleare – in un Paese in forte debito energetico, ma non privo di tradizioni tecnico-scientifiche e di piattaforme industriali per lo sviluppo del nucleare – sembra poter riscuotere più attenzione di uno sul premierato.
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