Eh sì, proprio un modo in frantumi, mi è venuto da commentare tra me e me leggendo l’articolo di Federico Rampini sui conflitti che continuano ad esplodere, dall’Ucraina a Gaza, dallo Yemen all’Ecuador, e tutto il resto (“La cabina di regia del caos e il bene collettivo”, Corriere della sera, 13 gennaio 2024). Il mondo in frantumi… ah, ecco, è il titolo del discorso di Harvard di Aleksandr Solzenicyn. Un formidabile intervento pronunciato nel 1978, il cui testo integrale nella traduzione italiana pubblicammo come supplemento al n. 10 dello stesso anno della rivista Litterae communionis-CL, organo mensile di Comunione e Liberazione (oggi Tracce), di cui allora ero da poco direttore. La pubblicazione fu suggerita da due geniacci cristiani del calibro di don Luigi Giussani e padre Romano Scalfi, fondatore di Russia Cristiana. La forza intellettuale e profetica insita in quel testo, rende, credo, non inutile una rilettura.
Rampini parte dalla considerazione che “l’America resta indispensabile per la sicurezza economica, ma la sua forza militare non basta a spegnere i focolai che altri continuano ad appiccare”. Particolarmente rispetto al Medio Oriente “risalta una vulnerabilità sia cinese sia europea: potenze economiche senza un’adeguata proiezione militare”. Rampini concorda poi con papa Francesco nel dire che “forse siamo già scivolati dentro una guerra mondiale, in ogni caso i rischi di allargamento dei conflitti sono molto reali” e sottolinea inoltre che il gran regista del caos in Medio Oriente, cioè la teocrazia sciita al potere in Iran, conta sulla “decadenza americana”, basandosi sulla “certezza che Dio castigherà gli infedeli a cominciare dai suoi nemici”. Ma anche sostenuta, mi sembra di poter dire, dalla constatazione della debolezza morale dell’Occidente. Cosa su cui insiste anche, guarda caso, l’apparato ortodosso-putiniano anti-ucraino, strumentalmente fin che si vuole, ma certo non senza un qualche fondamento.
Qui soccorre il discorso di Harvard. Si era in piena Guerra fredda in un mondo che poteva apparire semplicemente bipolare, dove tutto si giocava sul rapporto tra Usa e Urss. Il grande dissidente russo perseguitato non sottovalutava affatto questa “spaccatura” contenente il rischio dell’annientamento reciproco, ma già sottolineava che “il mondo è percorso da crepe più profonde, più larghe e più numerose… e questa frantumazione profonda e multiforme è gravida per tutti noi di gravi rischi mortali”. Chi credeva che fatta fuori l’Urss si sarebbe raggiunta ipso facto la fine della storia, la pace perpetua del mondo-mercato globale, si sbagliava di grosso.
Tra i sintomi della decadenza dell’Occidente, Solzenicyn annovera innanzitutto il senso di superiorità illusoria, retaggio non superato, del dominio coloniale e la conseguente “cecità” la quale induce a credere che tutto il mondo debba seguire uno sviluppo che lo porti a sistemi socio-politici e culturali uguali a quelli occidentali. Accusa poi “il declino del coraggio civico”, il mito del benessere materiale che rende impossibile educare la gioventù a rischiare la propria preziosa vita per un ideale e per la difesa del bene comune.
Molto interessante l’analisi di quella che Solzenicyn chiama la scelta della “forma giuridica dell’esistenza”, quella che alla società occidentale appariva “la più comoda”, la vita che sempre più si congeda dalla gratuità e dal sacrificio, dall’autolimitazione per un bene più grande, e si dedica invece “all’auto-espansione condotta fino all’estrema capienza delle leggi”. Far di ogni desiderio un diritto, potremmo forse tradurre. Il bene della libertà, rileva ancora il Nostro, si orienta verso l’irresponsabilità e la mentalità, viene orientata senza bisogno della censura… da una puntigliosa selezione che separa le idee alla moda da quelle che non lo sono… e queste ultime non hanno possibilità di esprimersi veramente sui mass media, in un libro, nell’insegnamento”.
Come si è giunti a un rapporto di forze così sfavorevole per l’Occidente, a questa debolezza intrinseca? Solzenicyn invita a cercare l’errore nella radice stessa del pensiero dell’età moderna. E cioè “l’idea dell’uomo come centro di tutto ciò che esiste”, per cui “si può dire che l’Occidente abbia difeso, sì, i diritti dell’uomo ma che nell’uomo si sia intanto spenta la coscienza della sua responsabilità davanti a Dio e alla società… l’egoismo legalistico ha prevalso e il mondo si ritrova in una acuta crisi spirituale e in un vicolo cieco politico”… “Il cammino che abbiamo percorso a partire dal Rinascimento ha arricchito la nostra esperienza ma ci ha anche fatto perdere quel Tutto, quel Più alto che un tempo costituiva un limite alle nostre passioni e alle nostre irresponsabilità”. E ancora: “Quello che fa paura nella crisi attuale non è neanche tanto la spaccatura del mondo, quanto che i frantumi più importanti siano colpiti da un’analoga malattia”.
E dunque? Il mondo è al bivio tra la rovina e una svolta della storia. Un cambio d’epoca, diremmo oggi, 45 anni dopo. “La nostra vita, inevitabilmente, non potrà più restare quella che è ora, se non vorrà darsi da sé la morte. Non potremo fare a meno di rivedere le definizioni fondamentali della vita umana: l’uomo è veramente il criterio di ogni cosa? Veramente non esiste al di sopra dell’uomo uno Spirito supremo?. E tale svolta esigerà da noi tutti un impeto spirituale, un’ascesa verso nuove altezze di intendimenti, verso un nuovo modello di vita… dove non verrà calpestata la nostra natura spirituale”.
Sono le domande in cui si esprime il senso religioso, il bisogno di un senso esauriente. La via d’uscita che Solzenicyn suggerisce non si trova accostando più verso sinistra o più verso destra, ma verso l’alto: “Nessuno sulla terra ha altra via che questa: andare più in alto”. È giustappunto la via del senso religioso, la via di una rinascita dell’io umano grazie alla riscoperta del senso religioso. Processo da non confondersi con un revival delle religioni, che senza senso religioso possono anche essere nocive e pericolose, né con un ritorno del sacro, che senza senso religioso è folklore o superstizione.
Proprio al senso religioso è dedicata una delle opere più importanti di Luigi Giussani, che quest’anno è il testo di riferimento per la scuola di comunità, cioè la formazione catechetica proposta da Comunione e Liberazione. Un lavoro di studio e di verifica, quello chiesto agli aderenti, che ha certamente una dimensione personalissima, oltre che di comunità, ma anche un respiro epocale. Forse Solzenicyn può aiutare a capacitarcene.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI