L’odio imbestia l’uomo e azzera la politica. La Shoah l’aveva attestato con un’atrocità maggiore dell’immaginabile. Oggi lo evidenzia tragicamente – d’accordo, con le dovute distinzioni – anche il conflitto israelo-palestinese.
Giustissimamente il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha definito l’assalto di Hamas del 7 ottobre “una replica degli orrori della Shoah”. E la Corte internazionale di giustizia altrettanto giustissimamente, ha ammonito Tel Aviv a “evitare il genocidio”.
Alla domanda se sia possibile la ricerca di una pace non coincidente con l’annientamento della controparte, il capo dello Stato italiano e il Tribunale dell’Aja hanno testimoniato una risposta positiva.
Quest’ultimo, come noto, non ha respinto in via pregiudiziale il ricorso presentato dal Sudafrica (in pratica anche se non formalmente in nome di Hamas), ha ingiunto a Israele di fornire prove del rispetto delle regole internazionali a protezione dei civili e a favore degli aiuti umanitari alla popolazione di Gaza, ma non ha imposto un cessate il fuoco che sarebbe stato come negare il diritto di Israele a difendersi. Un massimalismo di questo genere avrebbe solo ottenuto l’effetto contrario ed esasperato il conflitto.
Quanto al capo dello Stato italiano, ha interpretato il valore della Memoria (anche) come coscienza e impegno nel Presente. Indubbiamente la messa in guardia, dunque, da risorgenti antisemitismi nella nostra Europa. Ma, positivamente, l’invito a coltivare una posizione che mai richiuda l’altro nella figura del nemico (ultimamente da eliminare). Ecco la frase chiave di questo nesso tra Memoria e Presente, in riferimento alla questione israelo-palestinese: “Un popolo che ha sofferto tanto, non neghi lo Stato ad altri”. Per Mattarella, siamo terribilmente prossimi a quel “crinale apocalittico” di cui parlava Giorgio La Pira, il cattolicissimo democristiano che fu tra gli artefici della Costituzione, sindaco di Firenze e ideatore dei Colloqui del Mediterraneo intesi a promuovere il dialogo culturale e politico e la pace tra i popoli “delle tre religioni monoteiste”.
C’è una seconda domanda, ineludibile, che la Memoria/Presente suscita e che sta a monte della prima, quella sulla politica: è possibile restare uomini?
È la domanda che prevede la famosa opera di Primo Levi, Se questo è un uomo, racconto-riflessione sulla sua detenzione ad Auschwitz. Il libro è molto citato, non so quanto letto, e soprattutto non so quanto ben compreso. Descrive certamente l’atroce vita del lager, ma non si risolve nella denuncia di quanto i nazi fossero cattivi. Non so se per questo o per altro motivo (so comunque che a pensare male si fa peccato ma spesso si indovina) che Giulio Einaudi illuminato editore, d’accordo con collaboratori del calibro di Natalia Ginzburg (ebrea come Levi) e Cesare Pavese, rifiutò nel ’47 di pubblicarlo. Il libro fu stampato dalla piccola e marginale casa editrice Da Silva; fu poi ristampato da Einaudi nel 1958 undici anni dopo – con prefazione di Italo Calvino.
Chiusa la parentesi.
Una bella lettura del testo di Primo Levi è stata offerta proprio nel giorno della Memoria da Riccardo Moratti, violinista, docente di Lettere e attore, che da una decina d’anni fa spettacoli di lettura-monologo (“Letterevive”) di grandi classici della letteratura in scuole e teatri.
Bene, la sua lettura mette in luce il filo rosso che più ci interessa: che cosa mi ha salvato? io sono rimasto uomo? (e voi…?). Si rintracciano tre fattori di salvaguardia dell’umano: in primo luogo la tenerezza verso se stessi, quindi la cura della propria dignità (decide di lavarsi vedendo un vecchio farlo con cura); poi la bellezza, della natura, dell’arte e della poesia (legge il canto dantesco di Ulisse a un giovane compagno, “infin che il mar fu sovra noi richiuso”, sì, ma “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”); e, in terzo luogo, l’amicizia, la condivisione (il miracolo, per dire, di uno che rinuncia per te alla sua mezza fetta di pane grigio). Tutto ciò non in astratto ma attraverso volti (“i volti della pace…”), l’incontro con determinate persone. Così non vi è traccia di odio. Neanche di odio a sé. Così l’uomo non si imbestia.
“Dove c’è un uomo, il lager scompare”.
Sipario.
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