Questa nota settimanale ha già ospitato più di un appello preoccupato a favore di un “cessate il fuoco” sul fronte della transizione verde in Europa. Invece l’escalation del conflitto politico-sociale prosegue, facendo apparentemente svanire le speranze che la campagna elettorale per il rinnovo dell’Europarlamento promuova chiarimenti costruttivi: come sarebbe proprio degli istituti democratici.
Mentre centinaia di trattori si radunavano attorno a Parigi per cingere d’assedio il nuovo Governo Attal sull’intero dossier dei sussidi agricoli, il commissario Ue al cambiamento climatico, l’olandese Wopke Hoekstra, è tornato a respingere e sprezzare come “falsa narrazione” ogni critica ai piani in corso nella transizione eco-energetica. Essi non minaccerebbero in alcun modo la competitività dell’Azienda-Europa, anzi la rilancerebbero. È però un fatto che la credibilità del commissario olandese sia quella di chi ha dovuto raccogliere per qualche mese l’interim gravoso di Frans Timmermans: primo vicepresidente della Commissione con la delega alla transizione verde; letteralmente fuggito in Olanda poco prima della fine di dieci anni di mandato europeo, solo per farsi sconfiggere come candidato Premier del centrosinistra. E resta tuttora un mistero perché Timmermans abbia voluto sfidare la rabbia di decine di migliaia di allevatori dei Paesi Bassi, inferociti dalla minaccia di chiusura delle loro aziende perché fuori parametro sulle emissioni di biogas. I loro voti sino stati determinanti nel regalare una vittoria storica al partito anti-europeo di Geert Wilders, in un Paese fondatore dell’Ue.
Si acuisce dunque lo scontro fra l'”intelligenza artificiale” della tecnocrazia europea e l'”intelligenza naturale” degli agricoltori in piazza in Francia come in Germania, in Polonia e ora anche in Belgio e in Italia. Entrambi i fronti possono vantare ragioni proprie e denunciare torti altrui: senza però mai dimenticare che in democrazia decide la maggioranza degli elettori e le persone vengono sempre prima di teorie e ideologie.
Il cambiamento climatico è un fatto e il suo contrasto è una priorità politica e culturale: anzitutto per l’Europa e anche nel pieno di una crisi geopolitica epocale. Al contrario: l’idea che del latte di un allevatore europeo si possa fare a meno – tutto e subito – a favore di carni o farine sintetiche e che quindi si possa disincentivare in tutti i modi il suo lavoro – fino a rottamarlo – “è peggio di un crimine: è un errore”.
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