Anno bisesto, anno funesto. Così dicevano i miei nonni, e se guardiamo all’ultimo anno bisestile che abbiamo avuto, il 2020, risulta difficile dare torto alla saggezza popolare. Ma se stanno così le cose: come ci predisponiamo a questo (2024) nuovo anno bisestile? Dobbiamo richiamare l’espressione “mala tempora currunt”? A guardare quello che sta succedendo attorno a noi, ad esempio in Ucraina, in Israele, ma anche nelle nostre case considerati i tanti omicidi che le cronache quotidiane registrano, non si può certo stare allegri, però l’esperienza che l’età (che ormai mi avvicina agli anziani) consente suggerisce di affidarsi senza paura alla speranza, non perché si è degli inguaribili ottimisti, il che non avrebbe di per sé alcun valore, bensì perché questo ci apre alla positività della vita e ci mette nella disposizione di costruire e di assumere responsabilità. Con questa prospettiva proviamo a guardare alla sanità del nostro paese per il 2024.
Cominciamo dalla discussione sulla sostenibilità del Ssn partendo da quelli che sono i suoi principi fondamentali (universalismo, uniformità, equità), perché la sanità ha bisogno innanzitutto di una riforma che si interroghi sui suoi pilastri. Una riforma seria, però, richiede una discussione lunga e articolata: questo significa che la riforma in sé non può essere l’obiettivo del 2024, ma l’anno nuovo deve segnare l’inizio di una estesa discussione. Anzi, di più: iniziare e proseguire la discussione in modo serio si può considerare l’obiettivo principale dell’anno. Troppo poco? Nient’affatto, se la discussione prende piede e non si ferma alle contrapposizioni della dinamica maggioranza- opposizione o alle manifestazioni di piazza politicamente guidate. Per il resto, siccome “non si fanno le nozze con i fichi secchi”, ci rimangono solo interventi marginali (come gli esempi presentati nel seguito) e l’utilizzo al meglio delle risorse già disponibili (come la realizzazione del Pnrr).
Il finanziamento
È quello che è, visto che siamo tra i fanalini di coda dell’Europa, e di ulteriori risorse (al di là dell’inutile dibattito su chi le ha messe o tolte, o di quante se ne devono mettere o sono già state messe) non se ne vedono all’orizzonte: quindi bisogna farsi bastare quello che c’è. Detto in altre parole: se non si possono aumentare le entrate diventa indispensabile lavorare per regolare le uscite (appropriatezza, universalismo, contrasto alla medicina difensiva, eliminazione degli sprechi). In tema di finanziamento torna periodicamente sul tavolo la questione del riparto del fondo sanitario tra le regioni, con la richiesta, da parte di quelle che si ritengono svantaggiate dalla attuale criteriologia, di introdurre qualche nuova regola o di cambiare la applicazione di quelle in vigore. La morale però è sempre la stessa: cambiando i criteri cambia semplicemente l’ordine della lista, perché qualcuno dei più insoddisfatti passa tra i meno insoddisfatti e viceversa, ma resta il fatto che di soddisfatti non ce ne sono.
Il personale
Altro tasto dolente perché le lamentele sono ampie: dal numero (di medici e soprattutto di infermieri) allo stipendio (ritenuto troppo basso e non diversificato tra le figure professionali), dalla motivazione alla insoddisfazione alla formazione (soprattutto per la medicina di base). E’ il capitolo del fondo sanitario dove sono state messe quasi tutte le risorse economiche che sono state aggiunte per il 2024: vedremo se questa scelta produrrà qualche effetto positivo.
Il Pnrr
Nonostante le verifiche amministrative si sono concluse dicendo che tutti gli obiettivi stabiliti sono stati raggiunti, è diffusa la sensazione che si possa e si debba fare di più. In questo caso i soldi ci sono, gli interventi da attivare sono definiti sia in termini di tipologia (case e ospedali di comunità, centrali operative territoriali) che di numero: si tratta di non pensare solo alle ristrutturazioni murarie e di attivarsi per far funzionare i servizi previsti, cioè le attività sanitarie e socioassistenziali vere e proprie, dove la difficoltà principale è costituita dalla acquisizione del personale che serve. Un aiuto può venire dal coinvolgimento del privato accreditato, anche se non è ancora chiaro se quest’ultimo abbia la seria intenzione di giocare la partita.
Le liste di attesa
Verrebbe, malinconicamente, da dire: partita persa. Troppe (e giustificate) le lamentele, tante (e non sempre ben identificate) le cause delle lunghe attese, molti e diversi i tentativi messi in pista in qualche regione ma senza alcun significativo risultato. Il problema c’è ed è probabilmente la principale ragione che spinge i cittadini che possono ad uscire dal servizio sanitario mettendo in discussione tutti e tre i pilastri del Ssn: l’universalità delle prestazioni, l’uniformità tra le regioni, e soprattutto l’equità. Nonostante tutti (tecnici, politici, singoli cittadini) siano coscienti del problema e se ne parli in ogni occasione, al momento non si vedono soluzioni all’orizzonte, perché le soluzioni implicano una riflessione completa, non marginale, su tutto il servizio sanitario (una riforma appunto). Gli interventi su qualche aspetto specifico (più risorse, più personale, più appropriatezza, più regole di governo, più), pregevoli nella loro intenzionalità positiva, non stanno però producendo benefici pratici. Non si prevedono nel 2024 significativi passi in avanti.
La rinuncia alle cure
Il lungo periodo pandemico che abbiamo vissuto, e che non è ancora terminato stando alle notizie più recenti, oltre agli estesi e gravi effetti di cui ci si è più volte occupati anche da queste colonne, ha provocato per molti la parziale o totale rinuncia alle cure, con una frequenza ed una intensità che non sono più solo aneddotiche ma cominciano ad essere numericamente evidenti anche nei dati statistici a disposizione. E’ una rinuncia alle cure che ha colpito in maniera differenziale i cittadini, soprattutto i più fragili e meno attrezzati perché anziani, soli, pluripatologici, economicamente più deprivati, generando sostanziale iniquità nell’accesso ai servizi sanitari e socio-sanitari. I flebili segnali di inversione di tendenza osservati nell’anno che abbiamo lasciato necessitano di essere non solo confermati ma rafforzati: è forse questo il maggiore risultato pratico a breve che ci possiamo aspettare dall’anno appena incominciato. Lo spazio purtroppo è tiranno e ci si deve quindi fermare. Mi permetto però una ultima considerazione. E se il 2024, anno bisesto, fosse veramente funesto? La speranza è che l’esperienza accumulata nella battaglia contro il virus Sars-CoV-2 possa far dire anche a noi ed al Ssn: “io, speriamo che me la cavo”.
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