Il 7 di ogni gennaio i comuni s’affrettano a spegnere tutte le luci natalizie. Improvvisamente gli addobbi diventano qualcosa da rimuovere appena possibile e qualcuno, profittando della giornata uggiosa, riesce già a rimettere gli ingombri nelle scatole: la festa è finita.
Sono giorni eccezionali quelli delle feste di fine anno, giorni pieni di ricorrenze e incontri, ma anche di solitudini e di lacrime. La nostra società assegna a ciò che eccezionale un compito decisivo. Si cresce nella convinzione che siano i grandi gesti a determinare un’esistenza e a definirne il valore. Si pensa che la vita si giochi nel giorno dell’orale dell’esame di maturità o nel giorno della laurea, nel giorno del matrimonio o nel giorno della pensione.
Eppure, il mistero del Natale mostra tutt’altro. Nessuno dei pastori che corre al cospetto di Cristo sapeva che la sua corsa sarebbe entrata nella storia. I Magi non hanno fatto alcuna diretta Instagram del loro viaggio e non c’era su TikTok un sondaggio per scegliere quali doni portare al bambino. Maria, da parte sua, non era stata seguita nella gravidanza da alcuna trasmissione di Realtime, Giuseppe non aveva sentito la necessità di andare a raccontare la propria verità negli studi di Che tempo che fa e nessun Angelo apparteneva al coro celeste perché aveva fatto Amici o vinto X Factor. Erano tutti anonimi: storie anonime, vite anonime, volti anonimi. Nessuno di loro poteva prevedere quanto quello che ciascuno stava vivendo avrebbe avuto ripercussioni sull’esistenza delle generazioni successive. Vivevano l’istante non perché fosse più meritevole degli altri, ma perché era l’unico luogo – l’unico punto – in cui potevano dire di sì al Mistero che li chiamava, ad un Amore che li investiva.
Il Natale, dunque, instaurò nella storia un metodo: ogni quotidiano divenne eccezionale, decisivo, perché ciò che era eccezionale, il Mistero di Dio, aveva scelto di darsi nel quotidiano. Il cristianesimo liberò il mondo classico dalla necessità dell’eroismo, dal culto per la fama e per la gloria, da una religiosità fatta di riti tesi a catturare la benevolenza della divinità: il tempo – tutto il tempo – divenne il tempio di Dio, abolendo la distinzione tra sacro e profano e rovesciando la casta sacerdotale che, in ogni civiltà, si arrogava il diritto di essere la porta al rapporto con Dio.
Con il Cristianesimo la porta è Cristo, signore del tempo e della storia: non c’è attimo in cui l’uomo non lo possa incontrare, non c’è spazio in cui sia impossibile riconoscerlo. Massimo il Confessore, padre della Chiesa dell’VIII secolo, arrivava a parlare di liturgia cosmica, intendendo che ogni realtà del cosmo celebrava e gettava uno sguardo su Dio. Tutto è pieno di Dio, ma Dio non è panteisticamente tutto. Ogni cosa, infatti, chiede un lavoro perché possa essere riconosciuta nella sua verità, come segno di un amore più grande e di un bene più profondo. Nessuno apre gli esami clinici in cui è diagnosticato un tumore e dice: “Evviva!”. Nessuno sorride quando apprende della morte di un padre, di un figlio o di una moglie. Nessuno salta di gioia quando non passa un esame o quando capisce che nel primo quadrimestre rimedierà un’insufficienza di matematica. Nessuno è contento del dolore. Ma proprio il Mistero del Natale ci restituisce al quotidiano con una strada, un’ipotesi: che ci possa essere qualcosa per me, qualcosa di buono per me, anche dentro la tragedia più grande. Che quello che oggi è solo morte possa diventare per me l’inizio di una strada, di un lavoro, di una nuova vita.
È questa la forza della fede: stendere un’ombra di bene, un sospetto di bene, su ogni fatto dell’esistenza e della storia perché certi che in nessuna circostanza verrà mai meno Colui che ci ama e ci ha creato. Solo così si può capire come potesse fare san Francesco, 800 anni fa, a chiamare la morte “sorella” o come madre Teresa di Calcutta potesse guardare con speranza quei corpi martoriati che tutti lasciavano marcire e morire agli angoli delle strade di Calcutta. È come se di fronte alle avversità tutti quanti loro, Teresa, Francesco, ma certamente anche Maria, Giuseppe e i Magi, fossero convinti che quello che l’uomo vede è solo il primo tempo della realtà, che esiste un secondo tempo che inizia non appena la persona si affida e si lascia andare.
Ecco che cosa inizia quando si spengono le luci il 7 di gennaio, ecco che cosa parte quando finisce l’eccezionalità, ecco che cosa accade quando anche noi impariamo il metodo del Natale, che è questo sì segreto e gratuito all’istante che c’è, a quel poco che ho e che sembra essere così precario: dopo tutte le feste, dopo ogni tragedia, dopo ogni traguardo o dolore, ciò che ci aspetta è il secondo tempo di Dio. Basta poco, basta correre nella notte e nel buio come i pastori, basta fidarsi della stella come i Magi, basta seguire le parole dell’Angelo come fecero Maria e Giuseppe.
Agli uomini che archiviano in fretta il Natale, in fondo, si può guardare con un ultimo struggimento. Certamente, infatti, essi non sanno che la partita vera inizia ora e che il vero Natale, la novità di vita che ci aspetta dentro le nostre povere vite, comincia sempre il 7 gennaio.
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