La spesa mondiale per gli armamenti ha raggiunto il record di tutti i tempi: 2.240 miliardi di dollari. Più di quanti si era arrivati a spendere ai tempi della Guerra fredda fra Stati Uniti e Unione sovietica. Con la caduta del Muro di Berlino, nel 1989, era iniziata a livello globale una certa diminuzione delle spese militari, durata sino al 2014: lì c’è stata un’inversione di tendenza che sostanzialmente non si è più fermata sino a oggi. Nonostante ci siano stati di mezzo due anni e più di pandemia che hanno provocato un rallentamento della produzione praticamente in tutti i settori. Non in quello delle armi. Gli ultimi dati resi disponibili dal Sipri (istituto svedese specializzato in materia e assolutamente affidabile) mostrano una forte crescita della produzione dei fatturati delle industrie degli armamenti, e un vero e proprio balzo degli ordinativi, il che significa che il boom proseguirà. Basta vedere le performance eccezionali dei titoli in borsa.
La parte del leone la fanno l’Alleanza atlantica e gli Stati Uniti: i Paesi della Nato spendono 1.230 miliardi, più di metà della spesa mondiale; gli Usa da soli 877 miliardi, pari al 3,5% del Pil. Alle spalle degli Usa ci sono la Cina, la cui spesa per le armi aumenta da anno costantemente, e la Russia (che spende il 54,1% del suo Pil). Le vere sorprese arrivano al quarto e quinto posto: rispettivamente India (81 miliardi, 2,4% del Pil) e Arabia Saudita, con 75 miliardi di spesa, ben il 7,4% del Pil, una quota, per fare un paragone, simile alla spesa sanitaria nazionale di un Paese europeo avanzato. L’Ucraina impegna in armi il 34% dell’intera ricchezza nazionale prodotta. La Germania è su percentuali più basse (1,4%), ma con un processo di riarmo più intenso degli altri. L’Italia è passata dall’1,4% del 2021 al 1,7%.
Gli ordinativi, negli ultimi due-tre anni, sono aumentati di oltre il 10% all’anno mediamente. Le prime 15 aziende produttrici hanno in mano ordinativi per quasi 800 miliardi (quasi la spesa annuale degli Stati Uniti).
Quanto al boom dei titoli in Borsa, la variazione percentuale delle prime 20 società (misurato dal 1 gennaio 2022 al 31 dicembre 2023) va dal +341% della turca Aselsan al +45% dell’israeliana Elbit Systems. La “nostra” Leonardo (ex Finmeccanica), dal canto suo, ha messo a segno un +132%.
Quali considerazioni si possono ricavare da tutto ciò?
La prima è che siamo entrati in un’epoca di riarmo a livello mondiale perché siamo in un mondo più insicuro. Guerre mondiali e coloniali nei due secoli scorsi avevano fatto a pezzi la speranza dell’illuminismo di una pace perpetua raggiungibile da Stati non più assolutisti ma liberali. Adesso è fatta a pezzi l’illusione di una pace basata sulla globalizzazione e sul dominio del suo modello ultra-liberista di sviluppo.
Il mercato delle armi sembra essere davvero globale: chi produce le vende a chi ha i soldi per comprarle senza tante schizzinosità o distinguo tra buoni e cattivi, salvo embarghi più o meno rispettati piuttosto che aggirati. Per non andare troppo lontani: un ottimo acquirente per le esportazioni italiane di armi è il Qatar. Il quale cosa se ne farà, visto che fa e disfa sott’acqua complessi giochi tra parti in almeno potenziale conflitto in tutto il Medio Oriente? Se è vero che l’insicurezza crea domanda di armi, può essere vero che anche l’offerta di armi crei insicurezza? Io non mi sentirei di escluderlo.
Fa riflettere anche la pressoché totale scomparsa del pacifismo. Non è certo da rimpiangere il massimalismo astratto o la faziosità smaccata di tanti movimenti che forse per quello – mancanza di vera idealità e di realismo – si sono affossati da sé. Ma un nuovo movimento – di pensiero e di sensibilizzazione culturale e politica . che si faccia carico di aprire qualche sentiero viabile, qualche crepa almeno, in cui gli appelli vengano assunti come ipotesi di lavoro, sarebbe auspicabile.
Quest’anno ci sono le elezioni europee. L’Europa aumenta le proprie spese militari (personalmente credo che sia inevitabile nel contesto attuale), ma – ecco il problema – non ha una politica estera, né una politica di difesa. A questo livello nessun Paese può pensare di fare da sé. Occorre una visione d’insieme il più possibile condivisa. Un’azione equa e realistica in favore della pace (e magari di una limitazione del riarmo) troverebbe qui il suo spazio adeguato.
Se il cosiddetto discorso pubblico in questi mesi che mancano alle urne si indirizzasse (anche) su questi temi, magari finendola di menare il can per l’aia con l’ideologica e finta divisione del mondo in democratici-buoni e populisti-cattivi? Vorrei tanto crederci.
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