La Legge di bilancio 2025 è in dirittura d’arrivo, in una “bonanza” politico-mediatica contenuta in sé fisiologica. Ciò che non è “normale” – e per una volta a vantaggio dell’Italia – è il contesto che sta accompagnando il varo delle manovre annuali negli altri grandi Paesi europei.



Dentro l’Ue, anzitutto, in Francia il progetto di bilancio presentato dal nuovo Premier Michel Barnier sta scuotendo il Paese come un terremoto. Austerity nella spesa pubblica e sensibili extra-tasse su grandi gruppi e alti redditi (per ora non sui grandi patrimoni) sono gli ingredienti-base di una manovra da 60 miliardi di euro, che però il Governo stesso giudica il minimo indispensabile per tamponare finanze pubbliche ormai fuori controllo. Un’operazione “salva-Francia” che ha molti connotati di quella imposta all’Italia nel 2011 da Ue (Parigi in testa) e Bce (con un Governatore francese). La differenza è che Parigi ci arriva senza che nessuno – nei sette anni di presidenza Macron – abbia mai contestato nulla da Bruxelles o da Francoforte (dove il banchiere centrale è ancora francese). È così, fra l’altro, che il debito/Pil transalpino è ormai più vicino a quello italiano che alla media Ue.



Le manovre 2025 non paiono meno “impiccate” altrove. In Germania tutto è appeso a un vincolo costituzionale di pareggio di bilancio rapidamente invecchiato. In Gran Bretagna il neo-eletto Governo laburista è già impantanato nel ventilare tasse straordinarie sulle grandi ricchezze in un Paese che ha ormai nella City di Londra la sua più grande azienda.

Il budget che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha messo nelle mani della Premier Giorgia Meloni gestisce una correzione calcolata in circa 25 miliardi. Senza apparenti passaggi traumatici: neppure sul fronte del contributo straordinario da parte delle banche e di altri gruppi titolari di “extra-utili” da inflazione; mentre l’ipotesi di aumento di aumento selettivo delle rendite catastali per gli immobili oggetto di intervento Superbonus non appare politicamente proibitiva (una revisione generalizzata era già prevista da una legge-delega). Certamente la spesa sociale promette di rimanere sacrificata: soprattutto sui versanti critici della sanità e dei trasferimenti ai comuni. E resta un dossier aperto, quello previdenziale, sebbene – ancora una volta – la Francia si arroventi oggi attorno a una riforma che l’Italia ha deciso 13 anni fa.



Il risultato, in ogni caso, è che il deficit italiano scenderà sotto il 4% su una direttrice di allineamento entro il parametro Ue del 3% entro il 2026 (Parigi lo prevede non prima del 2029, Commissione Ue permettendo). Resta qualche incognita sulla resilienza del Pil italiano – peraltro fin qui migliore di quella espressa dalla locomotiva-Germania – mentre rimane fuori linea il debito/Pil che la fase debole del ciclo annuncia di riportare oltre quota 140% nel 2025.

I mercati tuttavia appaiono tranquilli (lo spread è a quota 130, vicino ai minimi dallo shock del 2011), mentre Roma ha chiesto a Bruxelles di utilizzare per il rientro dei conti pubblici tutti i sette anni resi disponibili dal Patto di stabilità rivisto dopo il Covid. In sé anche questa appare una dinamica “normale” per un Paese abituato al costante fiato al collo dell’Europa e dei mercati, sotto la costante spada di Damocle delle manovre intermedie. Però la vera sfida per un’Italia finalmente “normale” sul versante della stabilità economica-finanziaria comincia ora: e se il Governo potrà usufruire di altri tre anni per impostare “la manovra delle manovre” allora un vero “new normal” non sembra impossibile da raggiungere.

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