“Si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: ‘Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo’. Egli disse loro: ‘Che cosa volete che io faccia per voi?’. Gli risposero: ‘Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra’” (Mc 10, 35-37).
Sembra un dialogo tratto da qualche intercettazione telefonica dei nostri tempi, che documenta l’ennesimo tentativo di piazzarsi in qualche posto di rilievo, invece è il Vangelo. Impressiona come Cristo non risparmi neppure ai suoi il percorso necessario per scoprire che occorre decidere per cosa vivere. E lo fa mentre lo stanno seguendo, senza dare per scontato il loro sì, senza farsi andar bene qualsiasi tipo di sequela. Avranno frainteso, si saranno immaginati scenari futuri di gloria, o semplicemente hanno dato voce a quella tentazione che insidia ogni uomo: il potere. Accasarsi, entrare a far parte finalmente della cerchia di quelli che decidono, influenzare la realtà con quelle idee che si coltivavano da anni e che non si è mai riusciti a far passare, mettere i propri uomini nei posti giusti, vedersi riempire i luoghi in cui si fanno gli incontri… e poi? Una volta fatto tutto, rimanere delusi e insoddisfatti peggio di prima, con il pugno di mosche tipico dei nostri progetti realizzati.
Gesù sfida Giacomo e Giovanni: “Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?”. Qui sta il cuore della questione, che riguarda tutti, anche gli altri dieci apostoli che “avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni”: affermarsi o donarsi. Cristo, per togliere al “donarsi” quell’ultimo velo di moralismo e di spiritualismo che potrebbe ingabbiarlo, ha preso l’iniziativa storica con la quale ha mostrato il vero volto del dono. La sorte di passione che attende il Maestro attenderà anche i discepoli: questa è la vera garanzia, non quella del successo e del potere, come rivela Gesù stesso: “Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete”.
Il dono che Cristo fa della sua vita per ogni uomo, però, è un dono commosso, viscerale. Scrive don Giussani: “La carità di Dio per l’uomo è una commozione, un dono di sé che vibra, si agita, si muove, si realizza come emozione, nella realtà di una commozione: si commuove. Dio che si commuove! ‘Che è mai l’uomo perché Tu te ne ricordi?’, dice il salmo” (Si può vivere così?, Rizzoli, Milano 2007, p. 332). Il donarsi raggiunge così il vertice della sua natura, facendo fiorire la vita di coloro che si lasciano coinvolgere dal suo impeto. “‘Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?’. Gli risposero: ‘Lo possiamo’”; il vero potere è proprio il coinvolgimento nella donazione che il Figlio di Dio fa di se stesso. Così come non erano pienamente consapevoli di quello che dicevano, domandando di sedere alla sua destra e alla sua sinistra nel Regno dei cieli, anche rispondendo “lo possiamo” non colgono probabilmente tutta la portata di quel che dicono.
Avranno tempo per verificare quella “seconda chiamata” del Signore al suo stesso destino, intanto hanno imparato – come cantava John Lennon nella canzone Beautiful Boy – che “la vita è quello che ti accade mentre fai altri progetti”.
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