Il malessere e la violenza che stanno interessando tanto mondo giovanile dovrebbero essere guardati tenendo presente anche le esperienze positive perché spesso hanno un valore metodologico.
Una di queste è senz’altro la Piazza dei Mestieri a Torino (da qualche anno presente anche a Catania e Milano) che ha da poco celebrato i venti anni dalla sua nascita. In questa occasione il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inviato un messaggio in cui ha espresso il suo apprezzamento, “per una intuizione che ha saputo stabilire nel tempo una solida ed efficace rete di solidarietà e d’inclusione attraverso una alleanza tra formazione e mondo del lavoro”.
Visitandola di recente ho potuto toccare con mano ancora una volta la capacità di questo luogo di accogliere i ragazzi, di far loro percepire di valere e di farli appassionare a qualcosa, si potrebbe dire, oltre al cellulare.
Negli occhi di questi studenti ho visto lo stupore nei confronti di ciò che apprendono e, in qualche modo, la consapevolezza che imparando a fare i pasticceri, i parrucchieri, gli esperti di informatica diventano realmente persone adulte e che questo risponde alle loro esigenze.
Siamo abituati ormai da tempo a un sistema educativo e professionale in cui queste conquiste sono appannaggio dei “bravi”, i più fortunati, quelli che hanno più possibilità. Mentre gli altri, gli “ultimi della classe”, sono destinati a diventare Neet (l’Italia è al penultimo posto in Europa per numero di giovani che non lavorano e non studiano, dopo la Romania) o a vivere ai margini del mondo del lavoro e della società.
Alla Piazza dei Mestieri mi è parso evidente che i limiti di coloro che provengono da situazioni svantaggiate sono presi sul serio, a loro viene dedicata una formazione personalizzata e attenta a mettere nella giusta considerazione le dimensioni socio-emotive e non solo quelle cognitive.
Non si insegnano solo le tecniche per fare la birra, i dolci, o come usare i prodotti o le forbici. Si stimola la capacità di imparare da chi sa fare, imitando, lavorando insieme, apprendendo l’uno dall’altro, reagendo in modo maturo di fronte agli errori e ai fallimenti, prendendosi le proprie responsabilità, rischiando le proprie intuizioni e dominando l’eccessiva emotività.
Parte integrante della frequenza scolastica non sono solo le lezioni in laboratorio, ma anche quelle inerenti le materie umanistiche, come le gare di poesia, e i dialoghi e gli incontri in cui si ragiona sul proprio contesto di vita.
Un altro aspetto determinante è il fatto che la scuola è legata anche alla vendita dei manufatti che i ragazzi imparano a produrre. Inoltre, annessa alla scuola ci sono un ristorante, un pub, una pasticceria, un’azienda che è tornata a produrre la birra tradizionale che si faceva a Torino nell’800. Spesso si tengono incontri culturali sui più svariati temi. In alcune ore del giorno i torinesi popolano questi luoghi, qui si incontrano, fanno acquisti, passano del tempo insieme.
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